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T’amo da morire.

“Certo che la coppia di mori è proprio bella, impossibile separarla, vanno acquistate insieme” sento dire da una turista al marito riluttante a metter mano al portafoglio. 

È piacevole passeggiare tra il barocco e la bella scalinata arricchita di ceramica colorata, sì perché è proprio quest’ultima a rappresentare il biglietto da visita di Caltagirone: ceramica e Caltagirone, un binomio indissolubile. Ogni bottega ha una propria identità, alcune sono rimaste fortemente legate alla tradizione, altre strizzano l’occhio al design regalandosi una veste nuova. Fanno capolino dalle vetrine le ormai famose “teste di moro” vasi che riproducono due volti, uno maschile e uno femminile, bella e delicata lei, fiero e nobile lui.

“Ancora con questa storia dei mori!” esclama infastidita una bella donna accanto a me “il Moro era solo lui! E maledetto il giorno che ha posato piede su questa terra”. La donna veste alla maniera antica di quei vasi, ha il capo coperto da un velo e una veste pesante. Bruna e con due occhi che lanciano saette, la pelle chiara e la bocca talmente rossa che sembra abbia appena bevuto sangue. “Che c’è?” mi dice “non hai mai visto un fantasma?” in realtà no, non ne ho mai visto uno, ma ho come l’impressione che sia arrivato il momento. È scesa la sera, una luce dorata rende gli occhi della donna più duri. Mi indica la testa di moro in vetrina “era davvero bello” la voce le si addolcisce “questi vasi non rendono giustizia a quell’uomo. Nessun fuoco potrà mai ardere come la passione che ci divorò entrambi, ma la passione è una fiamma maledetta, offusca la ragione e ti rende pazzo, incosciente e vendicativo” guardo la donna e intuisco che quella storia ha tutta l’aria di essere finita molto male, lei sembra leggermi nel pensiero “sì, l’ho ammazzato” chissà perché la cosa non mi stupisce affatto. “Venni a scoprire che era spostato e prossimo alla partenza, per tornare, con la sua nave e i suoi uomini, nella sua terra, dalla sua donna e dai suoi figli. Finsi di non sapere nulla, come ogni notte lo accolsi tra le mie braccia, dopo l’amplesso lo cullai come un bambino, quando si addormentò presi il suo pugnale e lo uccisi, ma tenni per me la sua testa, quel volto che avevo tanto amato non mi avrebbe mai lasciata. Nascosi la testa tra i vasi del mio giardino, vi piantai un germoglio di basilico per coprirne l’odore di morte. Quella pianta crebbe rigogliosa, nutrita di lacrime e morte, il suo profumo prepotente invase l’aria, superò di gran lunga quello del gelsomino, delle rose, del caprifoglio. In quell’odore c’era la sua anima, il nostro amore e la mia follia”. “Allora! Pensi di restare lì tutta la sera?” torno al mio presente, gli amici mi chiamano, la temperatura è scesa un po’. Nonostante non sia stagione, una leggera brezza mi porta un profumo di basilico che gira intorno alla mia sciarpa e se ne va, chissà dove, insieme allo spirito di un amore maledetto.

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