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Spettacolo senza applausi!

Una sala buia, la poltrona comoda e lo spettatore che assiste ad una scena di teatro, d’arte, di danza o davanti al grande schermo di un cinema confortato dall’inganno della finzione. Si riaccendono le luci, si rielaborano le sensazioni vissute e la vita prosegue. Ma se lo spettatore si trovasse davanti ad una scena vera? Immaginiamo la scena o meglio raccontiamo una storia, questa volta vera! Catherine Susan Genovese è una giovane ragazza italoamericana, per tutti “Kitty” che gestisce un bar a Hollis. Il locale chiude sempre tardi e Kitty rincasa a notte fonda. Ma la notte del 13 marzo 1964, stanca da una giornata di lavoro parcheggia vicino casa e il rumore dei suoi passi incontra quello di Winston Moseley. Per Kitty sarà l’inizio di un incubo che finirà con la sua tragica morte. Sì, perché l’uomo la segue e la accoltella! Tra urla agghiaccianti e richieste di aiuto, riesce a scappare. Si dirige verso il primo edificio che trova e continua ad urlare in cerca di aiuto. Ma nessun cenno di auto dai vicini. L’aggressore la raggiunge una seconda volta, le urla si facevano sempre più disperate, veniva accoltella di nuovo, violentata e lasciata in fin di vita. Mezz’ora di terrore e solo alla fine i soccorsi arrivano, ma Kitty morirà nel trasporto in ospedale. Il fatto all’epoca sconvolse l’opinione pubblica perché durante quella mezz’ora, tra urla e richieste di aiuto, da dietro le finestre i vicini videro e sentirono la scena senza intervenire o quando ormai era troppo tardi. La stampa dell’epoca si scatenò e veri e propri studi di carattere sociale e psicologico si misero al lavoro per spiegarne le ragioni. Sì, perché dobbiamo ricercare una spiegazione all’apatia, all’individualismo e di conseguenza all’indifferenza verso il prossimo. La spiegazione arriva dallo studio condotto da due psicologi statunitensi, John Darley e Bibb Latané che approfondirono il caso nel corso degli anni anche sulla base di altri contesti meno cruenti. Nasce così il cosiddetto “effetto spettatore”, ossia in caso di pericolo, alla presenza di più individui non si presta aiuto ad una persona in difficoltà, restando “spettatori” passivi della scena. Maggiore è la presenza delle persone testimoni all’interno della scena di pericolo e/o emergenza, minore è la possibilità che qualcuno si attivi per prestare soccorso. Questo perché scatta un particolare meccanismo che induce a rimanere fermi ad osservare, come davanti ad un grosso incendio visto a distanza, pensando “con tutta queste persone qualcun altro avrà chiamato i soccorsi!”. Certamente, il “dare aiuto” dipende non solo dalla reazione degli altri spettatori, ma anche dalla presenza di altre persone sulla scena e diversi sono i fattori che portano un soggetto ad intervenire ed aiutare l’altro come ad esempio il contesto in cui si svolge il rischio e dell’azione sulla richiesta di aiuto. Ma dobbiamo comunque darci una spiegazione e trovare qualcuno da incolpare. Che sia proprio questo il mostro da combattere? L’alienazione dei rapporti umani e l’apatia sociale…

“Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che compiono azioni malvagie ma per quelli che osservano senza fare nulla.”(A. Einstein)

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