Maurits Cornelis Escher fu un artista olandese del Novecento, noto per le sue immagini che sembrano sfidare le leggi della logica e della percezione. Scale che salgono e scendono contemporaneamente dall’andamento “possibile” ma decisamente impossibile, mondi che si intrecciano senza soluzione di continuità, figure che si moltiplicano all’infinito: nelle sue opere nulla è come sembra. Tra i tanti temi della sua produzione artistica lo specchio occupa un posto speciale, diventando molto più di un semplice oggetto riflettente. In arte, lo specchio è sempre stato simbolo di vanità o di verità nascosta. Escher lo utilizza invece come strumento di esplorazione. Nella celebre litografia Mano con sfera a specchio (1935), l’artista si ritrae tenendo in mano una sfera specchiante. Ma ciò che colpisce non è solo il suo volto riflesso: nella sfera compare l’intero ambiente che lo circonda, deformato e piegato dalla curvatura. In un solo sguardo lo spettatore vede l’artista, la stanza e persino lo specchio stesso. È come se Escher volesse dirci che il riflesso rivela più della realtà diretta. In molte altre opere, lo specchio diventa un principio visivo: un meccanismo che genera moltiplicazioni, simmetrie e ripetizioni senza fine. Pensiamo a Galleria di stampe (1956), in cui l’immagine si ripiega su sé stessa in un circolo infinito. Qui il concetto di riflesso non è letterale, ma funziona come una specularità concettuale: guardando l’opera, ci troviamo catturati in un vortice di immagini che rimandano l’una all’altra, senza mai chiudersi davvero in un riflesso che diventa gioco infinito, capace di generare paradossi temporali e spaziali.Lo specchio per Escher è anche occasione di riflessione oggettiva: ogni riflesso è un “doppio”, simile ma non identico. Riflettere significa duplicare, ma anche trasformare. In questo senso, il riflesso ci mette di fronte all’idea che la realtà non sia mai unica, bensì composta da infinite possibilità.Con i suoi specchi, Escher non si limita a mostrare immagini ribaltate. Ci invita a riflettere sul nostro modo di vedere: sulla relatività della prospettiva, sull’illusione di stabilità, sull’infinito che si nasconde dietro le cose più comuni. Guardare un suo specchio non è solo osservare, ma immergersi in un mondo dove realtà e immaginazione si fondono, e dove ogni immagine è anche il suo contrario. Le superfici specchianti diventano metafora di un universo autoriflettente, dove ogni immagine contiene sé stessa, si moltiplica all’infinito e intrappola la mente dello spettatore che diventa parte attiva di un gioco visivo che lo fa dubitare sul possibile e l’impossibile.
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Sono Carmen, classe ’78, e dopo la laurea all’Accademia di Belle Arti di Catania e la specializzazione in grafica inizio un percorso di poliedriche esperienze: mostre d’arte, insegnamento, architettura, design e pubblicità. Con le altre socie, dal 2014, sono cofondatrice dell’Associazione Culturale “Le Ciliegie” dove rivesto l’incarico di copywriter e mi occupo di grafica 3D.