Sicilia e Calabria hanno tremato di fronte a un termine, di uso non comune, in grado di alimentare angosce: Medicane. Una parola che ne fonde due: Mediterranean Hurricane; a pensarci, così come il fenomeno atmosferico che descrive si origina da due processi diversi: l’aria fredda dei vortici e le acque calde dei mari.

Dopo il termine Covid, anche quello di Medicane ha sintetizzato le nostre paure. Qui al Sud Italia è andata così. Un’altra parola ci ha imbrigliati tutti nella condizione di attendere, spogliando però del suo classico fascino il termine attesa.

Abbiamo provato, nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, di nuovo e tutte insieme, le sensazioni già vissute durante il lockdown epidemiologico. Quando l’Altro era il potenziale nemico, la porta di casa l’unica sicurezza, la socialità un rischio. Sarebbe stato bello allora perdere il senno e urlare contro qualcuno: i medici, il governo…e infine correre come bambini ai ripari abbracciandoci tutti, e manifestando la volontà di un ritorno al passato, senza mascherine, regole, chiusure. Bello, sì, anzi liberatorio…ma anche folle. Perché sapevamo, e sappiamo ancora, che il nemico era un virus, non il governo, non il vaccino, non il Green Pass. E lo sappiamo ancora. Sarebbe stato come correre incontro all’uragano negando la sua esistenza, accusando i sistemi informatici della protezione civile, che ci hanno invece permesso di monitorarlo, e vederlo, per fortuna, stornare verso altri lidi.

Dal Covid al Medicane il passo sembrerebbe breve: e invece non lo è. Sono entrambi delle catastrofi naturali, certo, ma se il primo, imprevisto, ha avuto un impatto negativo a livello mondiale, il secondo, previsto, ha mancato di manifestarsi nelle forme apocalittiche delineate, creando più patemi che problemi. Viene da pensare che nel caso del Medicane non si è trattato del Cigno Nero di Taleb, filosofo e matematico che nel 2007 attraverso un saggio regala dignità teorica all’Imprevisto che finirà per strutturare ad ampio raggio le nostre esistenze, apparendo razionale a posteriori e sfuggente a priori. Il Covid ne presenterà invece tutti i caratteri, rendendo profetico il modello archetipico dello studioso. 

La Storia però, e questo è il bello e il pericoloso, segue spesso la dinamica del Cigno nero: gli eventi irrompono imprevisti, e il trovarci impreparati alimenta la loro forza propulsiva, rendendola irresistibile e dominatrice, e in grado di plasmare ogni cosa. Non ha forse più potenza ciò che accade, rispetto a quello che succede? È proprio l’umanità disarmata, il più delle volte, a consegnare lo scettro del potere al disastro… ma come ci si prepara al disastro se non reagendo con una controffensiva lenta e coordinata che nasce dalla conoscenza, graduale e mai intuitiva, del male improvvisamente insorto?

Taleb, che va riletto in questa epoca che proprio lui così bene racconta, distoglie lo sguardo dall’ordinario, dal già noto…e  lo punta sullo straordinario, sull’evento raro…che pareva non esistere ma c’è, e si manifesta, come quel cigno dal piumaggio scuro sulle coste dell’Oceano Pacifico, a un certo punto, senza apparente conseguenzialità, spezzando trame, scompaginando priorità, condizionando il futuro. Pensavamo che tutti i cigni fossero bianchi, fino a che nel Seicento si è scorto un “cigno atatrus” dal colore nero, e questo ha cambiato tutto. L’eccezionalità dell’evento è diventata, nella teoria filosofica del libanese Nassim Nicholas Taleb, il simbolo di ciò che di improbabile, di positivo o negativo, nella vita succede, e questo ha un potenziale trasformativo dell’esistenza stessa indubbiamente più alto rispetto a ciò che puntualmente e prevedibilmente non manca di presentarsi. A “rileggercelo addosso”, cari lettori, è storia della nostra vita: non è forse magicamente sempre ciò che non ci aspetteremmo a costruire i binari in cui la nostra vita di fatto scorre?

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