Che fine ha fatto il caro romanzo d’appendice dell’Ottocento? Quello che trovava ospitalità nella sezione bassa del giornale ed era affidato, per la vendita, agli “strilloni” di strada? Caro feuilleton se è vero che giocavi sporco facendo facile leva sui sentimenti, non eri per le menti raffinate ma per i borghesi avidi nelle passioni, e li tenevi in attesa, concedendoti poco a poco, come una seduttrice scaltra o una moderna fiction a puntate, è anche vero che da te abbiamo collezionato, nei tempi andati, “Madame Bovary” di G. Flaubert, “Il conte di Monte Cristo” di A. Dumas, “Ulisse” di J. Joyce, “Anna Karenina” di L. Tolstoj e quanti altri grazie ti dobbiamo dire? Perché la lista è ancora lunga. Così è balenata l’idea sfrontata e giocosamente ambiziosa di rianimarti e piazzarti in questo tempo moderno, e pensa tu, nel bel mezzo di un giornale digitale. Quanto di più anacronistico e insensato. Ma le sfide a noi piacciono, soprattutto quelle folli. Così vi troverete agganciati, o almeno questo speriamo, numero dopo numero, alla lettura di un romanzo a singhiozzi, che a guardare bene, romanzo non è. Questa l’attualizzazione firmata anni duemila. Vestirò di romanzo una storia crudamente vera. Perché se nell’Ottocento si amava sognare, oggi si vuole capire. Non è mio che il vestito; il corpo, la trama, per capirci, le situazioni e tutto il resto sono ispirate a un’esistenza reale. Quella di un quarantecinquenne che ho avuto l’occasione di conoscere, e che vuole raccontarsi, ma protetto dall’anonimato. E quale anonimato migliore del romanzo? Lui è un bel tipo, dall’aria scaltra e vagamente aristocratica, e susciterà sentimenti controversi in chi legge, sappiate che esiste, in esclusiva per noi racconterà la sua storia, ma siccome non ama scrivere tradurrò io le sue vicende in letteratura. Una bella gratificazione narcisistica per chiunque. Per lui però necessaria, perché in tanti anni di psicoterapia non ha mai risolto il suo problema con le donne, il suo romantico, disperato, ossessionato modo di desiderarle e averle. Patologico anche, sì, e agevolato per altro, io posso confidarvelo, dalla sua bellezza, dall’eloquenza, in particolare, dei suoi sguardi diamante. Chissà magari leggendo qualcuna si innamorerà dei suoi pensieri, che spero di riportare puri senza contaminarli, attraverso le parole, con alcuna traccia del mio essere donna. Oppure lo odierete, e riconoscerete in lui quel certo modo d’essere del vostro ex o di voi stessi, di vostro marito o del vostro amante. Di certo ne ha combinate delle belle, ma a differenza di tanti altri uomini sta provando a capire se stesso, e le motivazioni del suo agire, spinto anche da una psicoanalista in gamba che ha accolto con entusiasmo l’idea di pubblicare, terapeuticamente, le sue prodezze passate: oggettivare e prendere distanza è già un modo di acquisire coscienza.  Lui è un essere umano, come noi, dagli incantevoli sguardi chiari, ma qui sarà solo un personaggio. Noi lo chiameremo, per onorare la vena sentimentale del romanzo d’appendice, “Il Conte Occhi blu cielo”.

Le confessioni di un amante seriale.

Ficcherete i vostri graziosi nasini nei miei fatti. Così ha deciso la donna al balcone. Ed ha un bell’ascendente su di me, quella titolata col lettino in studio. A dirla tutta ha pure un balconcino interessante sotto il maglione. Io la chiamo così, in realtà è la mia psicoanalista da dieci anni, e io sono la sua sfida irrisolta perché corro verso il sesso più veloce di ogni sua cura. È una crocerossina legittimata dalla sua qualifica, ma è commovente la sua volontà di salvarmi: un raggio di luce che arriva al mio cuore, e dissipa certe ombre che ancora coltivo. Se dimentico il suo ruolo, mi appare a volte la persona: e sembra l’epifania di un angelo, potrei amarla. In fondo ha due labbra carnose, baceranno con la stessa dolcezza con cui parlano? Sarebbe però sempre e comunque un amore a distanza, lei il “il balcone” se lo porta dietro: non sta dentro né fuori. Sbircia il mondo e prende appunti, ma resta “dentro casa mia”, almeno finché parlo e pago. Settanta euro per cinquanta minuti. Moltiplicato dieci anni. Fate voi. Sgancio alle donne i soldi e il membro con la stessa frequenza: sono un generoso. È questo il problema che voglio risolvere. Ma credo sia un tratto maschile. Dovrebbero andarci allora tutti, in psicoanalisi. Ma ci sono io, e pure sul giornale, quindi beccatevi me. Si illudono che così guarirò, propagherò invece il mio vizio attraverso la rete. Il mio voyeurismo vi contagerà: voi lettori spierete dal buco della serratura le mie gesta erotiche, e sarà come avervi tutti intorno al mio letto. Lo confesso come un vizio in cui sono caduto, una macchia nel mio curriculum sentimentale: sono sposato. Questo non mi ha impedito di vivere le più fantasiose relazioni parallele, anzi a dirla tutta ha incitato il cavallo di razza che è in me alla corsa sfrenata verso la libertà provvisoria. Questo sono state le altre. Donne carine, media cultura, nessuna pretesa intellettuale e poca personalità: ero già stato imbrigliato a dovere, con loro dovevo sperimentare al massimo qualche piacevole galoppata. Eppure un giorno incrociai Lei: la Complice. E così da cinque anni ho un’amante perfetta, tutt’altro che semplice, che orchestra e coordina le mie scappatelle, tanto lo sa, non è lei che tradisco, e analizza e comprende la mia problematica relazione con mia moglie. Le donne nella mia vita sono come i francobolli per un collezionista, ognuno ha il suo posto nella scatola, poi però capita che di fronte a un francobollo raro ti incanti. Non sono certo come i giorni, le mie donne, perché il tempo danza su se stesso, e uno annulla l’altro. Il giorno in cui fui bambino, ad esempio, chi se lo ricorda? Ma quello del mio matrimonio certo che sì. Ogni donna qui avrà il suo spazio, per forza devo iniziare da mia moglie. La chiamerò l’Imprenditrice, poiché ha scelto soprattutto di essere questo, e anche io sono stato in fondo la sua impresa funzionante. Dal sesso oggi mi pare annoiata, investe la sua libido altrove, così forse le faccio un favore a spendere il mio carburante con altre. Lei credo non immagini che dietro al marito, e al padre perfetto che sono, ci sia tutto un mondo di golosissime sfrenatezze. Ma tutto ha inizio il giorno del mio matrimonio: la sposai nella ricorrenza del mio trentesimo compleanno, in seguito a una scommessa. Aveva vinto lei. Strano a dirsi ma quella sconfitta mi rese ricco. Da lei ho imparato molto, ad amare con disciplina, in primo luogo, col commovente impegno del “giorno dopo giorno”. È una donna talmente caparbia e brillante da potersi concedere il lusso di non essere bella. E invece lo è. È questo che ti inchioda. Quell’in più. Uno sfregio, uno schiaffo morale, che ti lascia sopraffatto e affascinato. È una donna completa anche senza di me, ad alto potenziale seduttivo. Dovrei temere i rivali, lo so, e invece riposo sicuro sul cuscino morbido della sua fedeltà, mi rende sereno, è migliore di me anche in questo. Attraversai quella chiesa di provincia, e giurai a Dio che l’avrei amata con fedeltà. Fortuna che non credevo in Dio. Credo nell’uomo, però, cioè in me, e nelle esperienze che mi hanno reso tale. E nelle donne, credo. Ecco perché con sacralità mi accosto a tutte. Trovo mille santuari per una sola religione. Dunque, ricapitolando: a trent’anni e per una scommessa persa commisi la leggerezza di legarla a me con un anello. La mia parola era sacra, più di una promessa all’altare. Così feci il passo. Che non bloccò certo i successivi. Il primo ebbi l’occasione di farlo già al ricevimento nuziale. Ma avrei varcato quella soglia così presto? La cameriera dagli occhi lunghi come gocce di lacrime inespresse mi guardava servendo le pietanze. Non le aveva cucinate lei, ma era a me che le offriva. Nascondeva un universo di passioni infrante. Aveva quello sguardo sonnolento e morbido di una donna dopo l’esplosione orgasmica. Ne avevo visti a migliaia e li riconoscevo in lei quegli occhi allusivi che mi invitavano a un altro banchetto. Sazio di frutti di mare e vino, avrei accettato anche quello?