Il consumo di vino si è molto trasformato negli ultimi anni rendendo i brindisi, se non responsabili, parecchio più consapevoli e selettivi. Esistono sul mercato una grande quantità di vini da vitigni tutelati (DOC, DOP, IGP, STG) e di vini con marchi registrati; esistono simboli che segnalano al consumatore il tipo di lavorazione e di coltivazione agricola (ad esempio il vino vegano o quello proveniente da agricoltura biologica). Ci sono inoltre informazioni aggiuntive, rispetto a quelle obbligatorie, che l’azienda produttrice può decidere di comunicare in etichetta al potenziale acquirente.

Come scegliere il vino? Non siamo mica tutti sommelier e non è, comunque, possibile fissare dei parametri rigorosi che consentano di stabilire una graduatoria di qualità oggettiva. Tolti gli estremi, la qualità e la gradevolezza di un vino dipendono dalle sue caratteristiche organolettiche e persino i palati più raffinati possono individuare in modo non univoco la qualità di una serie di vini. Quello che noi comuni mortali ci chiediamo di fronte ad una bottiglia, diciamocelo, è se vale il denaro che bisogna spendere per comprarla. Il prezzo di un vino, naturalmente, è influenzato dal tipo di vitigno, dalla modalità di produzione, dalla tiratura delle bottiglie, e dall’immancabile marketing al quale ogni cosa che entra nel mercato è sottoposta. Secondo me, bevitrice selettiva ma non ricercata, i vini appartengono a tre macro categorie: rossi e bianchi fermi (da bere prima, dopo e durante i pasti), vini spumanti e frizzanti (come i precedenti), vini dolci/liquorosi (quelli definiti da meditazione perché si degustano con calma e in piccole quantità, da soli o accompagnati da dolcetti sfiziosi o cioccolata). Si può scegliere in base al vitigno dichiarato in etichetta (vi segnalo a questo proposito il “Registro nazionale delle varietà di vite”, in cui si trovano informazioni sulle diverse varietà di vite da vino) o  valutando le tecniche di produzione, che possono essere più o meno standardizzate ed industrializzate: ad esempio, può capitare di imbattersi nella dicitura “fermentazione di soli lieviti autoctoni/indigeni”, vale a dire che la fermentazione è opera dei lieviti naturalmente presenti sull’uva e nella cantina  e non di lieviti selezionati. Perché questa distinzione? I lieviti hanno, oltre alla fondamentale funzione di far avvenire la fermentazione del mosto, anche il compito di regolare l’espressione dell’odore varietale dei vitigni. Nelle uve (e quindi nei mosti) che hanno già in sé l’espressione piena di questo carattere, il lievito può semplicemente amplificare queste profumazioni; nelle uve a profumazione neutra, l’uso di lieviti selezionati può essere determinante per evitare che gli sforzi fatti in vigna, per ottenere dei grappoli deliziosi, siano vanificati da profumazioni non equilibrate o dalla presenza di odori anomali. Esistono, inoltre, vini chiarificati (la chiarificazione è un procedimento chimico che serve a rendere limpido il prodotto finale) e vini non chiarificati; tra gli agenti usati per la chiarificazione ci sono l’albumina, la colla di pesce e la gelatina, tutti prodotti di origine animale che devono essere assenti nei vini vegani. Insomma, dimmi che vino bevi e ti dirò chi sei.