Anna Maugeri Russo

Per Seneca, è noto, la fortuna non esiste. Esiste però indubbiamente, per parafrasare lo stesso, quel momento, nella nostra esistenza, in cui il talento incontra l’occasione. Questo è accaduto dieci anni fa all’imprenditrice siciliana Anna Maugeri: entrata a far parte della famiglia Russo ha deciso di sposare non solo Alessandro, un fisico nucleare, ma l’intera azienda, con analogo trasporto sentimentale.  È una grande storia d’amore, per sua stessa ammissione, quella che lega la brillante Anna Maugeri alla storica distilleria siciliana esistente da 150 anni.

Ho saputo dimostrare di avere talento, ma sicuramente l’opportunità mi ha aiutato. Dentro di me avevo tuttavia qualcosa, da sempre, che fondamentalmente potremmo ricondurre all’impresa. Nel momento in cui la vita mi ha offerto la sua occasione per potermi mettere in gioco in questo ambito, e per di più in una realtà così solida come l’impresa dei Russo, e in maniera profondamente libera, ho avuto modo di dare alla mia laurea in Filosofia, che in Sicilia è vincolata molto spesso al settore dell’insegnamento, la possibilità di esprimersi nell’ambito della produzione.   

Conservazione e superamento. No, non sto citando la dialettica hegeliana ma l’impegno quotidiano di Anna Maugeri. In quali azioni questi due obiettivi si esprimono?

La distilleria in una società ha un significato culturale importante, noi svolgiamo una funzione fondamentale anche in economia, poiché le vinacce, lo scarto della produzione del vino, vengono spesso eliminate, nella riconversione trovano invece una nuova esistenza. La mia missione mi porta a combattere a favore del riconoscimento di una identità territoriale e di conservazione della tradizione, e per evitare che scarti eccellenti come quelli della Malvasia, del Moscato di Pantelleria per citarne solo alcuni, vengano eliminati.  Dall’altra parte ho però cercato di cambiare molte cose in azienda, con l’appoggio di mio marito. Rappresentiamo a volte materia e spirito, lui è realmente molto concreto, così l’idea dell’innovazione era lontana dall’azienda pur presentando, questa, standard di altissima qualità, con riconoscimenti a livello internazionale. Il mercato avanza, ho forse ricordato questo, assumendo la parte di un fuoco in grado di animare lo spirito già presente nell’impresa; ho creato un marchio aziendale e abbiamo provato a fare dei prodotti nuovi, specifici per la ristorazione, quando è sopraggiunto il Covid con la battuta d’arresto ben nota a tutti noi, in particolare agli imprenditori.  

Quali idee avevano già trovato forma, prima del propagarsi del virus e delle restrizioni politiche?

Avevamo già avviato una serie di profumi alimentari, che è un concetto filosofico del senso. L’olfatto è il senso del ricordo. Ho voluto dare nuovi nomi ai classici “amaretto di Sicilia”, “Limoncello di Sicilia”. Se ha un nome, pensavo, si ricorda. Io non sono semplicemente una donna di Aci Catena. Io sono Anna. La mia idea, allo stesso modo, era dare un nome ai nostri prodotti, per farli ricordare.  L’idea dell’individualità del prodotto ha portato, dopo tanti anni in cui lavoravo in azienda come responsabile commerciale, alla nascita di una linea di prodotti con dei nomi: abbiamo iniziato con Amaruci (l’amaretto dell’Etna) e continuato con Zagaro, liquore realizzato con le bucce dell’arancia di Ribera D.O.P. con cui siamo consorziati.  Dopo Zagaro, non un amaro all’arancio tra i tanti, ma portatore di un bagaglio di esperienza antica e preziosa, ho creato diciotto profumi alimentari che sintetizzano l’esperienza di un viaggio in Sicilia: le sperimentazioni possono essere realizzate da un’azienda che ha una tradizione lunga e solida come la nostra.

Un discorso a parte merita Prontigen: non è solo un prodotto ormai presente in tutte le famiglie, è soprattutto una bella storia da raccontare.

Vendevamo già alcol denaturato a tutte le farmacie, ma abbiamo pensato di realizzare un disinfettante non con l’alcol trattato chimicamente ma con l’alcol puro, un prodotto del tutto naturale, non aggressivo sulla pelle. Oggi Prontigen è una linea di prodotti, inizialmente ho dovuto combattere contro tutti coloro che non concepivano il nuovo, l’idea per esempio che una ditta alimentare si occupasse di detergenza. Mi sono impegnata per trasformare un prodotto di necessità in un prodotto simbolo di resilienza e solidarietà. Inizialmente mi sono appoggiata all’azienda di mio marito ma successivamente ho registrato il mio marchio, Russosan, proprio nel giorno del compleanno di mio figlio Camillo. In questo modo mi sono assunta personalmente il rischio di questa impresa. Ho trovato un Buyer in gamba, fratelli Arena, che ha creduto nel mio prodotto, tuttavia mi ritrovavo la casa piena di flaconi e la gente non lo conosceva. Il mio obiettivo era quello di far comprendere alle persone la differenza tra il mio prodotto naturale, e i prodotti chimici, non sempre benefici per la salute. Non solamente in quanto imprenditrice, ma soprattutto in quanto madre desideravo che arrivasse sulle mani di tutti i bambini. Ho portato avanti iniziative per agevolare l’acquisto dell’igienizzante nelle scuole e nelle pubbliche amministrazioni: restituendo una parte del profitto per l’acquisto di materiale didattico o beni di pubblica utilità. 

Quali particolari direzioni ha assunto il suo impegno di imprenditrice?

Ho voluto rendere accessibile ai più il processo di distillazione, e certe dinamiche interne, ad oggi sconosciute, o che si ritengono appartenenti alla storia del Nord. Non è così. Anche attraverso video e l’uso dei social mi sono fatta personalmente portavoce di una tradizione profondamente nostra. Ho voluto poi rendere inclusivi i miei prodotti, vanno davvero bene per tutti, sono nichelfree, non provocano allergie.  C’è ancora chi pensa, nonostante la diffusione di queste patologie, di poter produrre prodotti che non abbiano determinate caratteristiche. Russosan azienda di famiglia, è l’azienda delle famiglie. Presenta un’attenzione speciale per le mutate esigenze delle persone.  

Quali ostacoli ha incontrato nella sua azione di cambiamento?

Auspicherei una maggiore apertura dei Buyer che non mostrano capacità di adattarsi alle nuove esigenze sociali, e sembrano nell’ambito della detergenza, per certi versi, fermi alle logiche precovid. Dare spazio ad un’azienda come la mia significa creare nel territorio siciliano non tanto il beneficio dell’azienda stessa ma tutto un indotto di solidarietà che l’azienda si porta dietro. Una cooperazione tra imprenditori, inoltre, in Sicilia, è quasi inesistente. Questo ritengo sia il male della Sicilia. La mia rivoluzione non deve servire solo alla mia azienda: è un modo nuovo di concepire l’impresa nel territorio, e di concepire il rapporto tra le imprese.

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