Se sei una donna, prima o poi sarai costretta a porti una domanda carica di pesanti pregiudizi, lavoro o famiglia? Per secoli, siamo rimaste bloccate in quel retaggio culturale al limite con il medioevo. Troppo spesso siamo messe davanti ad un bivio e troppo spesso qualunque decisione verrà contestata da qualche ben pensante. Chi sceglie di lavorare ed essere madre è sempre più consapevole di affrontare una battaglia giornaliera fatta di compromessi e sacrifici. Quante volte, in sede di colloquio lavorativo, ad una donna viene chiesto ancor prima delle esperienze professionali: ma lei è sposata? Ha figli? Ma facciamo il punto della situazione partendo dall’inizio. Le rivendicazioni dei diritti delle donne nei luoghi di lavoro avvenne sull’ impulso di dare attuazione concreta al dettato Costituzionale dell’art. 37 secondo cui “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione“. Da questo principio nascono una serie di battaglie, prima tra tutte quella di Teresa Noce una delle madri dell’Assemblea Costituente. Ed entrava così in vigore il 26 agosto 1950 n. 860 la legge sulla “tutela fisica ed economica delle lavoratrici donne“. Ispirata prima di tutto da motivi etici, giuridici ed umani. Bisognava, infatti, tutelare la donna e reprimere l’intenzione del datore di lavoro di licenziare o penalizzare la lavoratrice madre. La legge si riferiva esplicitamente al divieto del datore di lavoro di licenziare le lavoratrici durante il periodo di gestazione fino al compimento del primo anno di età del figlio. Il divieto di svolgere lavori pesanti durante il periodo di allattamento, assegnando loro altre mansioni. Si prevedeva anche un periodo di riposo retribuito per maternità e allattamento, nonché, l’obbligo per il datore di lavoro di allestire nei luoghi di lavoro nidi d’infanzia. Ma il cambiamento è sempre difficoltoso e molte imprese per aggirare la legge, all’assunzione delle lavoratrici donne imponevano la “clausola di nubilato” ossia il licenziamento in caso di matrimonio. Nel 1952, veniva presentato il progetto di legge sulla parità di diritti e parità di retribuzione (lavoratrici e lavoratori) ma l’accordo non fu raggiunto e bisogna aspettare il 1960 per la parità salariale delle donne ma solo in alcuni settori. Ed oggi? Cambia il metodo ma non il concetto! Sebbene il diritto e la tutela delle donne lavoratrici ha raggiunto notevoli traguardi, abbiamo ancora molta strada da percorrere. Soprattutto, in un paese dove, ad esempio, i congedi parentali, oppure i permessi, diventano oggetto di discriminazione, diretta e indiretta, per chi ne usufruisce. Creare, crescere e trasformare al di fuori delle mura domestiche è un’esigenza emotiva e culturale. Tuttavia, sappiamo bene che tra l’affermazione di un diritto e la sua applicazione corre il fiume del cambiamento culturale ancora in atto.
“L’uguaglianza di genere non è solo una questione di giustizia, ma anche di efficienza economica e di sviluppo sostenibile”. (Amartya Sen)
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Sono Simona, avvocato, docente di Diritto e criminologa. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Catania. La curiosità verso quei circuiti e/o cortocircuiti della mente e dell’ambiente circostante mi ha portato ad esplorare tanti micro mondi lasciati nell’ombra. L’obiettivo è quello di dare visibilità agli invisibili, raccontando il mondo con serietà ed una buona dose di ironia. Ispirata dalla ricerca di quella Dea cieca che spinge una “mini-toga” a guardare sempre avanti con impegno. Il mio biglietto da visita: “Lo si voglia o non lo si voglia, io giustizia e verità impongo!” (Dario Fo).