Quante volte abbiamo urlato a noi stesse “maledetta ansia!” e fatto di tutto per liberarci da questa condizione di stress patologico, adottando ogni strumento a noi accessibile? Yoga, pensiero positivo, visualizzazioni guidate e la lunga lista potrebbe proseguire a oltranza. In Scozia vive una donna che non ha idea di cosa sia l’ansia, e non conosce tutti quegli stati interiori ad essa associati: paura, preoccupazione, nervosismo.  Inoltre, e questa è la notizia più curiosa e interessante per scienziati e per i gruppi di ricerca delle più prestigiose università britanniche, non ha mai provato dolore in vita sua. Per capirci, è la bruciatura sulla pelle, non il dolore fisico che l’accompagna, a ricordarle che non è saggio giocare col fuoco. Non è una super donna che dopo anni di meditazione orientale ha scoperto il segreto della felicità, ma la sua condizione è comunque un punto di arrivo: quello a cui vuole giungere la scienza, per aiutare i milioni di persone affette, per varie patologie e disfunzioni, da sindrome del dolore cronico. Per lei, Jo Cameron, è un punto di partenza, e uno stato costante che la accompagnata sempre, poiché la donna presenta una rarissima condizione genetica definita “analgesia congenita”. Il singolare profilo genetico di questa persona ha di certo molto da insegnare agli scienziati, che intendono imitarne i meccanismi, come avviene dal 2019 presso il team del professor Cox, membro del Molecular Nociception Group presso l’University College di Londra. Dalla ricerca scientifica in corso sembrerebbe che sia proprio la mutazione, molto rara, di un gene, a rendere la settantacinquenne scozzese insensibile al dolore.  Un suo gene mutato sarebbe in grado di modulare l’espressione di un altro gene, indicato come FAAH, e in gergo denominato felice, o smemorato, poiché in grado di ridurre lo stato ansioso delle persone.  Lei stessa pare abbia vissuto quasi interamente la sua esistenza inconsapevole di questa sua peculiarità, poiché vissuta come normalità, ma anche priva di quella particolare “spia istintiva” in grado in certi casi di metterci in guardia, o proteggerci dalle situazioni di pericolo: la paura.  È certo che con i suoi risvolti psicologici, le sue promesse di veloce recupero e oblio, la condizione genetica della signora Cameron apparirebbe a molti come una felice soluzione ai propri problemi o addirittura come una condizione auspicabile. Ma di quanta parte del nostro essere “umani” ci priverebbe una esperienza di tal genere? Di quanti nobili sforzi, tutti formativi e densi di vita, per trovare un equilibrio, una resistenza, un senso morale, di fronte alle dolorose batoste della Vita?

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