Il volo ritorna: nei tragitti di stelle, in amore, nel fruscio del vento e negli aeroplani di carta. E tutti questi voli hanno esiti non convenzionali, imprevisti. Come i cammini della poesia di Natale Maugeri, ci conducono dove non ci aspetteremmo di giungere, attraverso l’eterno schiudersi della natura, la ciclicità del tempo, le azioni umane, i percorsi pindarici dei sentimenti. Una bella raccolta che si apre con l’età verde dell’infanzia, e le sue irriverenze, e si conclude con i ricordi dei tempi felici, chiudendo così il cerchio dell’esistenza.

L’inchiostro di Natale Maugeri non si imprime greve, ma vola, e leggero si impiglia, come l’incanto, nella rete dell’attenzione di chi legge: poche parole, scarne ed essenziali, limitano poeticamente confini concettuali, e dopo dieci, quindici parole il quadro è dipinto. Vedi i sentimenti che ha provato il poeta, hanno i colori accesi del mondo, le sue sfumature. Non tacciono nulla. Anche quando, e accade spesso, lodano il silenzio: quella misteriosa coltre che supera le parole stesse, prima potenti, di colpo fragili arnesi, al cospetto dell’indicibile, che Maugeri chiama a tratti Dio, a tratti Invisibile. Di fronte alle realtà più alte (l’Invisibile stesso, e poi il Viaggio, metafora dell’andare umano, la Fede, la Meraviglia, la Resilienza) i voli poetici si fanno prosa nella tensione, forse, di superare la loro stessa essenza ed estendere il proprio raggio di narrazione. Così l’evocazione si fa racconto, e quella parola gravida di sentire che era valore in sé nella poesia, diventa nobile ancella della vita, perché la contempla e loda, nell’atto di raccontarla. Qualche volta la poesia di Maugeri sembra perdere i caratteri dell’artistico, e acquisire, trasfigurata, quelli dello spirituale: si fa preghiera. Un linguaggio che si spoglia del peso della comunicazione, e libra leggera come luce, per lodare il creato. È forse questo che ci aspettiamo da una poesia? Una inconsapevole ascesa, una sordida dimenticanza del mondo nel culmine della sua illuminazione. Così, come su un ascensore ideale, osserviamo un’ultima volta le cose, per poi distaccarcene, liberati dal loro peso che nel quotidiano ci opprime. Ma ora no, perché nell’atto di dirle le lasciamo, come fa il poeta. Trascendiamo osservandole con disinteresse, ed è questa la magia del poetico, nel linguaggio: l’andare oltre le categorie dell’utile, del funzionale, e godere della parola che dice la natura, e godere della natura evocata nella parola, e godere dei sentimenti che accompagnano la fruizione del mondo e dell’arte senza subirli. Con quello sguardo che ha spesso Natale sul mondo: meravigliato e coinvolto. Distaccato e avvinto. E che è forse il segreto motore della sua ars poetica.   Voli d’Inchiostro, Natale Maugeri.