Giordano Bruno riceve un insolito invito a cena che si rivelerà deludente. Sperava di trovare interlocutori interessanti e scaltri con cui confrontare le proprie idee, e invece al banchetto incontrerà docenti boriosi e ignoranti che fraintendono il suo messaggio e sconoscono quello di Copernico, difendendo la Filosofia del passato in nome dell’autorità degli antichi. L’autore è anche il personaggio protagonista del libro. La voce narrante è invece affidata al suo discepolo Teofilo, presente alla cena, che racconterà l’episodio a una serie di personaggi: Smitho, Prudenzio, Frulla, che sono forse un campione rappresentativo dei lettori possibili. Anche noi, come loro, siamo infatti divisi di fronte alle pagine di Giordano Bruno, non tutti abbiamo volontà e cuore per accostarci al suo messaggio fino in fondo.

Non è esattamente l’usuale invito alla lettura, né il classico libro da leggere sotto l’ombrellone, tantomeno durante le vacanze pasquali, per evadere dall’ordinario; il linguaggio è complesso e la sua verità, come la natura per i greci, gioca a nascondino per non farsi afferrare da tutti, ma solo da un ristretto pubblico di eletti.  Eppure è un buon consiglio per gli assetati di cultura, perché non è un libro per accademici (provate a leggerlo, e vedrete come tratta quelli di Oxford!), è un libro per curiosi. Soprattutto per i curiosi del pensiero di Giordano Bruno. Non è un trattato di Filosofia, è una iniziazione. Entri come lettore, poi ti riconosci in un personaggio, più precisamente Smitho, l’uomo medio ma ragionevole e in grado di cogliere la verità, e attraverso le sue domande ti dai risposte, la tua curiosità è incastrata nella sua; chiedi addirittura, con la sua voce, un ultimo dialogo, in cui capire meglio il nucleo essenziale della filosofia del nolano. E ti accorgi, alla parola “fine”, che tutto il libro era una lunga preparazione a quel dialogo quinto che tu hai voluto: un lungo viaggio per la tua iniziazione. L’hai chiesto a Teofilo, discepolo di Bruno, ancora un po’ di tempo per capire le tesi del suo maestro. È curioso che quello spazio in più sia diventato, a conti fatti, il senso dell’opera intera: un incontro con l’autore. Teofilo raccontava di una cena, svolta in casa di Fulke Greville. Lui c’era, tu no. Eppure incominci a credere che quell’invito fosse riservato proprio a te. C’era una vaga atmosfera da Simposio platonico: un luogo in cui non circolano solo parole, ma accadono cose. A libro chiuso ti viene però da pensare che non ti trovavi a un banchetto ma dentro quella caverna di cui tanto parlava Platone nel dialogo “La Repubblica”, la perfetta metafora della dimensione fenomenica e basta: il mondo a cui la verità sfugge. Il sole uscirai certo a vederlo in quel dialogo quinto che sei pronto a vivere: l’hai chiesto, voluto. Ma prima Bruno voleva accertarsi che tu aprissi bene gli occhi, e ha costruito una caverna lunga quattro dialoghi, e tutto questo solo per te. Per darti il tempo di abituarti, piano piano, alla sua luce.

La cena delle ceneri, Giordano Bruno.

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