Faber est suae quisque fortunae recita il proverbio latino, che tiriamo fuori ad hoc per sostenere che sia il singolo individuo a plasmare il proprio destino, raccogliendo ogni giorno i frutti di ciò che ha seminato. Ma siamo veramente pronti a crederci? La ricerca dice di no. Recenti studi sociologici e di psicologia sociale hanno infatti dimostrato che non siamo tutti e sempre capaci di assumerci le responsabilità di quello che ci accade. Pare che ognuno sviluppi un proprio stile di attribuzione degli eventi, che è tanto più “interno” quanto percepiamo di essere attori della nostra esistenza ed è tanto più “esterno”, quanto, al contrario, ci convinciamo che ogni cosa possa sfuggire al nostro controllo. Ancora più interessante è sapere che potremmo aver ereditato questo stile ancora bambini dal contesto familiare e che esso avrebbe giocato un certo ruolo anche nel nostro percorso di formazione. Per esempio: chi di noi eredita uno stile interno sarà maggiormente consapevole dei suoi meriti perché sentirà di aver contribuito con le proprie forze alla condizione di successo e allo stesso tempo mediterà sui propri difetti perché questi sono stati la ragione principale che ha determinato un fallimento. Al contrario, lo stile esterno porterà un individuo a derogare rispetto alle proprie responsabilità e a imputare alla buona o cattiva sorte il segno (positivo o negativo) degli accadimenti.

Troppo semplice accogliere in maniera passiva un voto negativo a scuola, piuttosto che una sconfitta nell’ambiente di lavoro o una delusione affettiva: se tutto è addebitato al caso è inutile sforzarsi perché le cose si evolvano. La fortuna, e di questo dobbiamo convincerci, non può agire completamente in autonomia nelle vite degli uomini; e se proprio vogliamo ammettere che abbia esercitato un potere assoluto, pensiamo a quel poco di palesemente incontrollabile su cui interviene. Non è merito né colpa nostra se siamo nati in una nazione europea piuttosto che in un paese in cui si soffre ancora la fame; possiamo impegnarci quanto vogliamo per mantenerla buona ma non siamo padroni dello stato della nostra salute; se incrociamo le persone giuste sul nostro cammino potremo dire di averlo desiderato, ma riconosceremo che la fortuna ci abbia messo il suo zampino o che il destino avverso ci abbia fatto imbattere negli incontri peggiori. Rassegniamoci pure al fatto che per singoli aspetti invariabili non esista meritocrazia, ma su tutte le altre innumerevoli sfaccettature del nostro vissuto è essenziale che lavoriamo, che non smettiamo di sperare, che non ci mostriamo pigri. Più maturo è infatti sentirsi soggetti delle proprie azioni ed essere stimolati a correggere il tiro, a migliorarsi e a mirare verso obiettivi futuri più alti.

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