Immaginiamo di provare a spiegare il fenomeno del catfishing a un non millennial, magari appassionato di letteratura. Ci risponderebbe citando i capolavori di Luigi Pirandello, le maschere e le centomila immagini che gli altri hanno di noi. Ma il paragone non regge: non si tratta di finzione teatrale ma di finzione virtuale, con evidenti ricadute nel mondo reale.

Del significato e dell’origine della parola anglofona catfish (in italiano pesce gatto) si è occupata l’Accademia della Crusca che, dopo aver precisato l’assenza del termine dai dizionari italiani, spiega che il pesce d’acqua dolce è chiamato così per delle caratteristiche che ricordano i baffi di un gatto. E dal pesce alla “rete” il salto è breve: il catfish è infatti colui/colei che costruisce un’immagine falsa di sé nel mondo dell’etere e utilizza questa identità simulata per intrattenere rapporti con altri utenti del web. La sua identità può essere totalmente di fantasia o, peggio ancora, sottratta a qualcun altro. Iniziamo col farci un’idea della portata del fenomeno catfishing: il Rapporto Italia 2022 di Eurispes ha rilevato che, più in generale, quasi tre italiani su dieci sono stati vittime di truffe operate tramite il mezzo informatico e che l’inganno da falsa identità è il secondo più diffuso tra i reati informatici, seguito proprio dal furto di identità. E a proposito di questo genere di reati la Cassazione si è pronunciata (sentenza 9391/2014) stabilendo che utilizzare un account falso, creato volontariamente con l’intenzione di molestare altri utenti,èunreato penalmente perseguibile in virtù della violazione dell’articolo 494 del Codice penale (sostituzione di persona).

L’uso del termine è consueto da una decina d’anni, soprattutto dopo l’uscita negli Stati Uniti del documentario Catfish nel 2010 e la successiva trasmissione televisiva sul tema, andata in onda anche in Italia. L’obiettivo di quest’ultima era da un lato mostrare alle vittime entrate nella rete dell’inganno da falsa identità l’evidenza del raggiro, e dall’altro smascherarne l’autore. I contesti in cui più spesso vittima e colpevole si trovano sono i social network o le app di incontri. Nasce l’amicizia e poi si trasforma in relazione amorosa, con o senza scopo di estorsione di denaro e/o informazioni private. Nessun incontro di persona, rare le telefonate e nessuna traccia evidente che possa svelare il raggiro. Se il malcapitato riceve delle fotografie, raffigurano nella maggior parte dei casi soggetti terzi (anch’essi probabilmente ignari). Le cronache più recenti ci hanno raccontato i casi più gravi: imposture durate anni, esborso di somme ingenti e compromissioni sociali ed emotive importanti, talvolta culminate in suicidio. La vittima è prima di tutto chi cede all’adescamento: terreno fertile per lasciarsi coinvolgere è lo stato di fragilità, la solitudine, la necessità di stabilire dei legami idealizzati quando mancano quelli tangibili. Ma oppresso, in fondo, è anche l’ingannatore, che indossa un corpo e un’anima che non sono propri per uscire dall’anonimato, per carpire non solo beni materiali ma anche affetto. Come uscirne? Chiedendo aiuto, parlandone e denunciando. Perché la verità paga sempre e perché i sentimenti sono degni di essere vissuti nella loro pienezza e profondità.

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