Quanto la letteratura riflette il contesto storico-sociale e culturale in cui essa si sviluppa? E quanto essa a sua volta riesce ad influenzare o talvolta addirittura plasmare la società nei suoi valori, usi e costumi? Ciò che si innesca è in realtà un rapporto dialettico, come ad esempio successe nel XIX secolo a proposito del Natale. Come pensare ad esso senza pensare ai tetti imbiancati, le strade e le vetrine decorate, le luci colorate degli abeti addobbati? Come pensare a questa affascinante e calorosa festa senza udire le nenie e i racconti di Natale? E se dico “A Christmas Carol”? Mi risponderete che si tratta del racconto di natale per eccellenza. Scritto in sole sei settimane dal geniale Charles Dickens, il racconto si compone di realtà e fantasia per scoprire e/o riscoprire non solo gli usi della festa, ma soprattutto lo stato d’animo e il vero significato del natale. Il vecchio Scrooge, avaro banchiere londinese, rispecchia ognuno di noi quando ci facciamo offuscare da cose superflue o secondarie a spese dei valori essenziali e fondamentali dell’essere umano: l’amore, il rispetto, la gratitudine, la famiglia. Il percorso compiuto dal protagonista alla vigilia del natale accompagnato dai fantasmi del passato, del presente e del futuro, produce nel lettore una riflessione sulle priorità della vita e ha generato nel tempo lo sviluppo del vero animo natalizio, tanto da indurre molti studiosi di Dickens a definirlo “l’uomo che inventò o re-inventò il natale”. È curioso come la genesi dell’opera sia collegata fortemente ad un percorso psico-emotivo dell’autore, che avrebbe sperimentato nella produzione dell’opera un processo catartico che lo portò al superamento di certi traumi infantili e di conflitti interiori: l’esperienza traumatica vissuta da bambino lavorando nella fabbrica, la sofferenza sperimentata e incontrata tra i quartieri poveri di Londra, i problemi economici della famiglia a causa dei debiti di un padre scialacquatore. Come ci riporta lo scrittore e storico americano Les Standiford, all’epoca della composizione di “A Christmas Carol”(1843), l’autore viveva un momento di profonda crisi creativa per l’insuccesso di alcuni scritti successivi al famosissimo “Oliver Twist”, tanto che Dickens dovette autoprodursi a causa della diffidenza delle case editrici dell’epoca. Come mostra egregiamente la versione cinematografica del romanzo di Standiford, “Dickens. L’uomo che inventò il natale” (2017), il processo creativo dell’opera cammina parallelamente con la riflessione personale dell’autore. Lo stesso si incammina in un percorso interiore che lo porta a confrontarsi con il suo passato e il suo presente: ricordi e traumi di infanzia, il rapporto conflittuale con il padre che ritiene responsabile delle sue sofferenze, la trascuratezza con cui interagisce con la famiglia perché affogato nella sua smania di scrivere e di avere successo. Solo quando Dickens riuscirà a superare certe posizioni di risentimento e rancore, metabolizzando le sofferenze vissute, dando il giusto peso agli affetti e perdonando il padre, ritroverà la vena creativa, che si concretizza nella evoluzione o meglio nella trasformazione del protagonista Scrooge, che da avaro, burbero e noncurante di chi gli sta accanto, diventa un uomo migliore.

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