Parte ormai del nostro lessico abituale, la “telepatia” è una presunta comunicazione extrasensoriale a distanza. Il termine affonda le sue radici nella lingua greca, dalla combinazione di “tele” (lontano) e patheia (percepire). Si tratterebbe dunque di un “sentire da lontano”, secondo l’etimo, ancora oggi in uso, coniato nel 1882 dal filosofo e psicologo Myers, tra i primi ad esaminare fenomeni psichici ancora inspiegabili, come la telepatia, attraverso metodi scientifici. Se è vero che serve una parola per ogni realtà esistente, è anche da notare che in questo caso il linguaggio arriva enormemente in ritardo rispetto a un fenomeno, ancora oggi controverso, non quietamente riconosciuto nella sua esistenza dalla comunità scientifica. Antichi documenti mistico-religiosi contengono infatti numerose testimonianze di percezioni oltre i sensi fisici. Cosa fotografa dunque il termine “telepatia?” Un’esperienza intima di un sentire che non si avvale dei nostri classici strumenti percettivi, in grado di annullare le distanze e avvicinare le coscienze, che resta misteriosa e la cui verità apre un baratro di inquietudini ed enigmi correlati. Sembra che la nostra epoca sia in grado di risolvere con mezzi tecnologici ogni lontananza, non ci stupiamo del fatto che le nostre parole, o la nostra voce, possa viaggiare, e raggiungere chi vorremmo accanto, in pochi secondi. Non riusciamo però ad accettare che alcune forme di comunicazione non verbale possano trasmettersi su lunghe distanze solo coadiuvate dalle nostre autonome funzioni, tale fede ci porterebbe forse a rivedere tutte le nostre conoscenze, e certezze, sull’essere umano, e sul funzionamento delle sue facoltà cognitive: se spostare la linea delle possibilità artificiali ci esalta, varcare quella delle potenzialità naturali ci terrorizza. Psichiatri e neuro scienziati con le loro teorie hanno in alcuni casi fornito un terreno d’appoggio alla fede nella telepatia, Carl Gustav Jung, ad esempio, con il concetto di “inconscio collettivo”, una struttura condivisa in grado di giustificare le connessioni mentali al di là di ogni comprensione razionale, e Rupert Shaldrake con la sua filosofia della “mente estesa”, suggerendo che la mente non sia limitata al cervello, ma che possa esistere un campo morfogenetico che consenta il fenomeno telepatico.

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