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Spogliamoci dell’italiano e vestiamoci di inglese!

Vi siete mai chiesti perché in inglese si dice quanto vecchio sei, per dire quanti anni hai?  O perché si dice io sono un avvocato invece di io faccio l’avvocato? Semplice: perché ogni lingua è il prodotto e lo specchio della cultura che la parla, quindi dietro ogni costrutto c’è una concezione del mondo diversa: lo stesso concetto viene interpretato in modo diverso, secondo la storia, le usanze, le tradizioni di un popolo … e davanti ad un costrutto del tipo I’m a lawyer ( io sono un avvocato) mi sembra di intravvedere una concezione inglese del lavoro evidentemente più pregnante, più identificativa, rispetto alla concezione del mestiere nella cultura italiana, che evidentemente viene visto come un’attività da svolgere, da eseguire, un dovere, da cui nasce l’espressione io faccio l’avvocato. Con questo semplice esempio mi piace sempre introdurre lo studio della lingua inglese quando ho davanti una nuova classe. Perché studiare una lingua straniera viva è semplicemente una questione di approccio: se non usiamo quello giusto anche una lingua estremamente semplice come l’inglese può risultare un arcano! E allora continuo chiedendo ai miei interlocutori quante volte si sono sentiti dire di pensare in inglese e quante altre volte si sono disperatamente chiesti come si fa. Bene! Il trucco è questo: non si traduce la frase ma si traduce l’idea in quella lingua, e quindi davanti ad una frase devo chiedermi sempre quale idea essa esprime e di conseguenza pensare quale struttura grammaticale è usata nella lingua oggetto per rendere quella idea (che poi è il concetto alla base del metodo funzionale –comunicativo). Nel caso dell’inglese è per esempio fondamentale usare questo approccio per la scelta dei tempi verbali, poiché non esiste la stessa suddivisione temporale dell’italiano; perciò, per ogni tempo verbale inglese devo sapere in quali condizioni l’inglese lo usa, piuttosto che cercare un disperato abbinamento univoco con un tempo italiano … e quindi: yesterday I was at home, può essere reso con ieri sono stato a casa, ero a casa… ma in inglese è comunque, sempre e solo un simple past, perché l’azione è avvenuta yesterday (ieri) e quindi in un tempo passato determinato e interamente trascorso. Purtroppo la scuola italiana ha abusato nel tempo del metodo grammatico-traduttivo che si applica per le lingue classiche “morte” (greco, latino), applicandolo anche alle lingue moderne “vive”, mozzando la competenza comunicativa che deve essere alla base dell’apprendimento di ogni lingua in uso. Da qui nasce la mia espressione: in inglese si trasforma non si traduce, perché cambiando il verbo voglio proprio sottolineare l’importanza di rendere un concetto nella lingua straniera, cioè di trasformarlo secondo il modo di interpretare il mondo in quella particolare cultura.

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