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Quando il gioco si fa duro…i duri cominciano a giocare!

Cari lettori, cosa vi verrebbe in mente se vi chiedessi se vi piace giocare? Come adulti potreste pensare che il gioco è “cosa da bambini”, ma se si leggesse più da vicino il proprio comportamento ci si accorgerebbe che “nell’uomo autentico si nasconde un bambino che vuole giocare” (Friedrich Nietzsche). Da bambini, infatti, abbiamo imparato a giocare, a casa, per esempio, o all’asilo, scegliendo passo dopo passo, gioco dopo gioco, i ruoli che meglio ci permettevano di esprimerci in quei momenti di travolgente dinamismo. Ed è proprio in quegli scambi relazionali, in cui parole, gesti e oggetti variopinti prendevano forme ed esistenza, che l’individuo ha gettato le basi per il proprio copione di vita. Fu Eric Berne, l’ideatore dell’Analisi Transazionale, a parlare nel 1960 di quel “piano di vita basato su una decisione presa nell’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli eventi successivi e che culmina in una scelta decisiva.” Le nostre esperienze infantili ci portano ad organizzare un programma, appunto un copione, in cui ognuno interpreta e recita dei ruoli specifici che lo rappresentano, incarnando comportamenti ripetitivi, inconsapevoli, caratterizzati da sentimenti spiacevoli e abituali. Queste modalità di relazione tra le persone, dette “Giochi”, non hanno nulla a che vedere con il significato convenzionale normalmente attribuito a questa parola; sono forme di comunicazione disfunzionali all’equilibrio psicofisico dell’individuo, che generano confusione e conflitti e che se non riconosciuti come dannosi possono ripetersi senza fine. “Perché commetto sempre gli stessi errori? Perché mi innamoro sempre delle persone sbagliate?” Domande tipiche di chi sembra accorgersi che le proprie scelte di vita abbiano quasi sempre un finale prevedibile, scontato, fastidioso, da cui non si riesce a sfuggire. Ed ecco che ci si sente Vittima di qualcosa o di qualcuno, incapaci di pensare, sentire e agire autonomamente per risolvere un problema: “Povero me, non ce la farò mai!” C’è chi, invece, riveste spesso il ruolo di Persecutore, agendo in modo critico e violento verso l’altro, provando rabbia e insofferenza: “È tutta colpa tua, tu sei sbagliato.” Poi, c’è chi occupandosi attivamente dei problemi degli altri crede di essere indispensabile, un vero Salvatore: “Ti aiuto io, tu hai bisogno del mio aiuto perché non sei capace di prenderti cura di te.” Durante questi giochi psicologici le persone cambiano il proprio ruolo, all’interno di un Triangolo drammatico, da Salvatori e Persecutori finiscono nel ruolo di Vittima, con un vissuto di frustrazione, di impotenza, nutrendo il proprio bisogno di carezza e contatto in modo negativo. Non è impossibile lasciare andare i ruoli e, di conseguenza, i giochi che si utilizzano per la maggior parte del tempo; per farlo occorre mettersi in gioco responsabilmente, attraverso un lavoro di presa di consapevolezza, imparando a comunicare e a cercare un contatto con l’altro più intimo ed autentico. E allora, visto che “tutto il mondo è un palcoscenico” per citare Shakespeare, sentiamoci pronti ad entrare in scena da attori protagonisti e non da semplici comparse.

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