Riprogettare città che rispondano adeguatamente ai bisogni di chi le abita ma anche concepirle in maniera più inclusiva: questi i traguardi a cui si ispira il Premio Access City Award, riconoscimento per le città accessibili istituito dalla Direzione Generale Occupazione, Affari Sociali e Pari Opportunità della Commissione europea. Tra il 2016 e il 2018 ben tre realtà italiane – Milano, Alessandria e Monteverde – si sono meritate un posto in cima alla classifica europea delle città virtuose, che lavorano per limitare le barriere architettoniche e promuovere l’accesso ai servizi alla totalità dei propri utenti, in sicurezza e autonomia. L’ultima edizione del Premio, in particolare, ha dato spazio alle iniziative culturali e ha incluso tra i candidati anche i centri con un numero più limitato di abitanti. Monteverde, piccolo borgo di sole 700 anime in provincia di Avellino già annoverato tra i Borghi più Belli d’Italia, è proprio il primo tra i piccoli centri ad aver avuto l’onore di una menzione speciale. Puntando tutto sul turismo accessibile, infatti, ha lavorato per la fruizione delle bellezze locali da parte di tutti, cittadini e visitatori, disabili e normodotati, attraverso percorsi di sperimentazione inediti calibrati soprattutto sulla disabilità visiva. Sono stati progettati lunghi itinerari tattilo/plantari tecnologicamente all’avanguardia che accompagnano il visitatore tramite audio descrizioni e assistenza vocale. Tre percorsi (naturalistico, storico e religioso) che sono in grado di offrire un’esperienza di visita unica nel suo genere, superando ogni limite architettonico, cognitivo e sensoriale.

Monteverde (Avellino) eletto tra i Borghi più Belli d’Italia
Monteverde: percorsi sensoriali
Monteverde: itinerari tattilo/plantari

Sarebbero queste le buone pratiche da replicare in tutte le regioni italiane; esempi che contraddicono il luogo comune che alla disabilità associa l’incapacità. È vero che la disabilità non si può coprire, ma costruire percorsi turistici inclusivi è uno dei mille modi interessanti di imparare a osservarla da vicino e misurarla con lo stesso metro di valutazione di chi la vive quotidianamente. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (13 dicembre 2006), d’altronde, non la definisce come una caratteristica dell’individuo insita in una patologia o in una menomazione, ma come risultato dell’interazione tra questo individuo e le barriere comportamentali ed ambientali che limitano la sua effettiva partecipazione alle attività sociali. Le barriere, quindi, sono molto più spesso negli occhi di chi guarda e sono quelle, prima delle altre, a dover cadere.