La nebbia nasconde il paesaggio tutto intorno, vela i contorni rendendolo più dolce, come certe bugie bianche che prima o dopo saranno scoperte ma, per un po’, avranno edulcorato una realtà scomoda. Maschera della natura, “vedo-non vedo” discreto, evanescente. Questo velo lattiginoso e danzante si alza dall’acqua, a tratti si dirada rivelando ombre che scompaiono attraversando le calli e i ponti, accompagnate da risa, voci sussurrate e fruscii di velluto e broccato, code di un carnevale in cui tutto è concesso dietro i sorrisi delle maschere. Un’ombra più alta delle altre attira la mia attenzione, si volta, gli occhi nascosti e la bocca scoperta che, per un attimo, si rivela nella foschia in un sorriso strano, invitante, che devo seguire. I contorni dei palazzi sembrano merletti bianchi segnati dal tempo, la nebbia all’interno delle stradine si dirada, l’uomo si ferma, un cenno della mano mi suggerisce di avvicinarmi: “Giacomo Casanova, per servirla”. Tra tutti i fantasmi che Venezia poteva offrirmi, quello di Casanova è senza dubbio tra i più seducenti. Proprio bello non è…sembra leggermi nel pensiero quando sussurra: “io ascoltavo le donne, anche le più sciocche e dai racconti banali, io le ascoltavo…e questo le faceva impazzire”. Ha una voce profonda, suadente, una statura insolita per la sua epoca, certo al giorno d’oggi forse i suoi modi non avrebbero riscosso lo stesso successo, troppo affettati e teatrali, eppure ascoltarlo è un piacere. Camminiamo lentamente, mi indica angoli nascosti accompagnandoli con aneddoti romantici conditi di un erotismo dall’ovvio sapore settecentesco. Trattengo un sorriso mentre, con il pensiero, sfoltisco i contenuti dei racconti di almeno un trenta per cento. Ci avviciniamo ad un piccolo ponte, la nebbia qui è più fitta, il mio insolito cavaliere mi tende la mano per aiutarmi, come si fa con una signora e come qualunque uomo dovrebbe ogni tanto ricordarsi di fare, anche in questo veloce e rumoroso ventunesimo secolo, ma lui è un fantasma e la mia mano finisce con lo stringere solo la nebbia eppure quell’idea di galanteria mi commuove. Proseguiamo in silenzio, fianco a fianco, avvolti dall’aria fredda e piacevole dell’alba. Arrivati nei pressi del famoso carcere dei Piombi, con il suo ponte dei Sospiri, Casanova ha un moto di rabbia: “pensavano forse di rinchiudermi qui e gettare la chiave nel canale?” ma poi ride, del resto da lì è riuscito a scappare e raccontarmene la fuga rocambolesca sembra avere la meglio sulla rabbia. Sarà stato anche un buon ascoltatore ma di certo era anche un oratore come pochi. Sorrido. “Sono nato qui” esordisce ad un certo punto della nostra passeggiata. Mi volto verso l’uomo ma non è più al mio fianco, una sagoma scura scompare nella nebbia che lascia il posto ad un timido sole invernale. Alzo gli occhi, una targa ricorda ai turisti che “Qui nacque Giacomo Casanova”; ora lo so anche io, ma a me lo ha detto un fantasma all’alba di un giorno di fine carnevale.

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