La neve cade dal ramo sotto il peso dell’animale che, per bilanciarsi, ha aperto le sue grandi ali di un nero così brillante da regalare bagliori azzurri. Il corvo inclina leggermente la testa con quel tipico fare che, volendo antropomorfizzare, definirei interrogativo. Rimane qualche istante ancora sul ramo poi, accompagnato da una nuova pioggia di neve, lascia l’albero spoglio per compiere un volo circolare sopra di me. Rimango incantata da quel disegno perfetto. “Animale regale e spaventoso al tempo stesso” sento dire da una voce alle mie spalle. L’uomo se ne sta dritto come un fuso, sagoma nera su quel freddo tappeto bianco. Si muove lentamente imprimendo orme sulla neve che scricchiola lievemente al suo passaggio e aggiunge: “Per gli antichi gli uccelli avevano il compito di accompagnare le anime dei defunti verso l’altrove. Uccelli, gatti e così via, a loro l’arduo incarico di essere per noi psicopompo e questo corvo è davvero maestoso” continua a fissare lo sguardo sull’animale che è ormai un puntino nero nel cielo grigio, poi, seccamente, aggiunge: “Lei ha paura della morte?” Non so perché ma mi aspettavo una simile domanda “Ho più paura di soffrire, non della morte in sé”

“Paura di soffrire? Non è forse la vita stessa una continua sofferenza?” Mi fissa con occhi profondi, due pozzi grigi dai quali emerge una grande tristezza. Non è molto più alto di me, eppure la sua aurea densa mi sovrasta. Non sorride ma non è respingente. Forse dovrei avere timore di quest’uomo strano che parla di morte fissando il volo di un corvo, ma non si può avere paura della grandezza.

“Maldetto, così sono stato definito, e così mi si ricorderà per sempre” mi rivolge uno sguardo che sembra voler dire: “allora? Sei ancora qui? Non scappi?” poi, accorgendosi di aver sortito esattamente l’effetto opposto, piega il labbro in un embrione di sorriso. Mi sorprendo a rispondere: “Maledetto come chiunque provi a vivere di ciò che ama, di quello che per lui è alla stessa stregua dell’ossigeno: indispensabile”

“Di certo una maledizione in un mondo sordo ma dalla parola facile e dalla voce che sa solo urlare, ma sono soprattutto le mie storie a rendermi maledetto e non per le atmosfere, gli orrori o gli spettri, no! Vedete in queste storie il vostro “io” primordiale, il più nascosto, il più spaventoso, quello che temete di non saper tenere a bada e che, proprio per questo, quando meno ve lo aspettate, può emergere, è questo “io” oscuro a farvi paura, è guardare in fondo a quel pozzo di tenebra ad atterrirvi, è il riconoscere la vostra immagine riflessa in quelle acque torbide che vi terrorizza. Vi fa orrore sapere che per tutti noi c’è quel gatto nero a ricordarci chi siamo o cosa siamo” mi precede di pochi passi poi si volta e quasi sorridendo aggiunge “Non abbia mai paura di guardarsi dentro, si guardi bene e guardi bene le sue paure, le lasci parlare, non rimanga mai estranea a sé stessa, faccia amicizia con quell’immagine in fondo al pozzo, non lasci che l’acqua diventi torbida”. Il corvo conclude il proprio volo posandosi su un ramo che lo accoglie liberandosi dalla neve lasciando cadere la sua pioggia cristallina proprio sul libro rimasto aperto sulle mie ginocchia. Inizia a far buio. Non me ne sono nemmeno accorta. Una figura avvolta in un cappotto nero svolta l’angolo di pietra del parco, o forse no, forse l’ho solo immaginato. Mi alzo dalla panchina e mi allontano mentre da un angolo della borsa fa capolino il titolo del libro che porto con me “Il corvo” di Edgar Allan Poe.

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