Cosa è la fortuna? Potremmo definirla una serie di circostanze e coincidenze positive che ci permettono di raggiungere le nostre ambizioni. La fortuna viene spesso associata al concetto di successo, fama, soldi… ma è davvero cosi difficile essere baciati dalla fortuna? O forse è ancora più difficile mantenere ciò che la fortuna ci regala? Questo è ciò che attanaglia molto spesso chi raggiunge le vette del successo e del consenso pubblico, ovvero la capacità o incapacità di gestire il successo. L’argomento ci riporta indietro ad un paio di secoli fa, ad un grande della letteratura inglese: Charles Dickens! Questo aspetto viene magistralmente trattato nella produzione cinematografica “Charles Dickens, l’uomo che inventò il Natale”, dove si racconta che dopo l’enorme successo dei primi output letterari e in particolare di “Oliver Twist”, Dickens diventa il personaggio più prestigioso e popolare della scena letteraria inglese. Nessuno come lui è in grado di rappresentare i valori e le ambizioni  borghesi di cui si fa interprete, incarnando tutto il perbenismo e l’ottimismo della società vittoriana. Questo grande successo gli presenta però un conto salato da pagare quando gli viene a mancare l’ispirazione e non riesce più a comporre: quando si arriva a certi livelli infatti, si può solo continuare a volare in alto, altrimenti si precipita miseramente. L’artista comincia a diventare ossessionato dalla sua incapacità creativa e ne pagano le conseguenze i suoi affetti familiari che spesso trascura e dimentica. Le sicurezze economiche e le relazioni umane cominciano a vacillare e Charles deve fare i conti con il suo passato: un padre scialacquatore che a causa dei suoi debiti lo ha costretto da bambino a lavorare in una fabbrica di lucido per scarpe, nonostante le loro origini borghesi. L’esperienza per il piccolo Charles è traumatica e sarà sempre presente nei suoi romanzi, prevalentemente incentrati sulla povertà, lo sfruttamento e soprattutto sui bambini. Solo quando lo scrittore riuscirà a risolvere il suo conflitto interiore e a perdonare il padre ritroverà la forza creativa, attingendo alla forza ispiratrice della compassione e del perdono. Da qui ha origine il suo “Christmas Carol”  (Canto di Natale) che lo riporterà alle vette del successo, inaugurando una nuova stagione letteraria più matura e consapevole. Spostandoci alla fine dello stesso secolo, il pensiero va ad un altro grande della letteratura inglese: Oscar Wilde. Di origine irlandese, dopo gli studi (prima a Dublino e poi a Oxford) si trasferisce a Londra, incarnando in tutto e per tutto i principi dell’estetismo, trasformandosi in un vero e proprio personaggio pubblico. Tutti amavano Wilde, tutti restavano incantati dal suo charme, dal suo look e dalla sua brillante conversazione; la sua presenza trasformava qualsiasi salotto in un vero e proprio “evento”. Inizia nel frattempo a viaggiare in America dove esporta l’estetismo tramite una serie di conferenze. All’apice del suo successo arriva l’accusa di omosessualità e con essa il processo e la condanna a due anni di lavori forzati. La condanna più pesante arriva però dalla società: il perbenismo tardo vittoriano prevale e Wilde sprofonda nella miseria più assoluta. L’artista comunque non rinnegherà mai le sue scelte coerentemente alla filosofia esteta, secondo la quale chi sceglie il Bello e quindi il Piacere, lo fa a qualsiasi costo. Dopo avere scontato la sua pena, Wilde si trasferirà in un villaggio vicino Parigi vivendo in povertà e solitudine, ma sentendosi sempre il protagonista indiscusso della sua vita, che visse fino all’ultimo come un’opera d’arte, tramutatasi alla fine in una tragedia sì, ma sempre e comunque un’opera d’arte.

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