Gli anni degli studi scolastici superiori sono spesso i più belli della vita: un cammino adolescenziale che fa posto, lentamente, alla maturità. E questo cammino non lo si compie da soli: quando si ha la fortuna di essere una “bella classe” si cresce insieme e, a conclusione dei cinque anni si tracciano i primi solchi della strada futura. Quale grande sfida di poco più che diciottenni decidere del proprio avvenire professionale e lavorativo, stringendo un patto quanto più possibile equo tra le proprie inclinazioni e l’offerta del territorio: avvocato, medico, insegnante, ingegnere, sacerdote. Sì, sacerdote. A fronte di un quadro critico che registra un inarrestabile calo delle vocazioni in Italia, nei primissimi anni 2000 Venerando, oggi parroco della Chiesa dell’Immacolata Concezione di Cannizzaro, nel catanese, varcava le porte del seminario.

Don Venerando, sapresti spiegare la tua scelta? Quando nasce in te la vocazione al sacerdozio?

La mia vocazione non è nata in un momento della mia vita, posso dire che sia nata con me. Nel periodo della maturità scolastica avevo già intenzione di intraprendere la strada del sacerdozio, ma prima di farlo concretamente ho voluto riflettere un momento, perché questa scelta fosse veramente frutto delle mie aspirazioni e scevra da condizionamenti esterni. Il Signore ha bussato più volte alla mia porta, anche quando ho provato a rivolgere il mio sguardo verso un altro tipo di vita.

Con chi o con che cosa si scende a patti quando si sceglie di essere sacerdote?

Si scende a patti con Dio. E questi patti si rinnovano nel tempo. Quando entrai in seminario il Rettore mi chiese di scrivere una lettera in cui descrivevo le motivazioni che mi portavano su quel cammino. Ebbene, oggi non potrebbero essere le stesse di allora. Non è una volta per sempre, ma è giornalmente che si scende a patti con Dio. È un po’ come quello che avviene nella promessa di matrimonio… agli sposi dovrebbe tornare alla mente che si sono impegnati ad amarsi e onorarsi ogni giorno della propria vita, così come si rinnova giornalmente in me la disponibilità a compromettermi per il Signore.

E il celibato è parte di questo patto?

Il celibato non è una scelta che fa il singolo, è stato stabilito dalla Chiesa e il sacerdote risponde con fedeltà, come fosse uno sposo. È una delle conseguenze della scelta di cui sopra. L’opinione pubblica si esprime fin troppo spesso in considerazioni relative a questo ambito, anche perché esistono confessioni che non impongono al sacerdote di osservare il celibato. A chi mi chiede io rispondo che la mia vita è spesa totalmente a servizio della mia comunità parrocchiale. Se avessi accanto una famiglia dovrei dividermi, limiterei la mia libertà. Il mio ministero non è un lavoro e non ha limitazioni di tempo, credo profondamente in quello che faccio e la mia chiamata è totale.

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