Quanto è precario l’equilibrio della psiche umana? Si dice che la mente sia un filo di capello e tutti ci auguriamo di invecchiare sì, ma “basta che il Signore mi dia il lume della ragione!”

Eppure l’individuo si caratterizza proprio per la sua complessità psicologica: nessuno è totalmente buono o cattivo, avaro o generoso, sincero o falso; ognuno di noi è un serbatoio di emozioni, sentimenti, esperienze ed interazioni umane, siamo una ricchezza di sfaccettature che ci rendono unici e irripetibili. Proprio in questa miscellanea che è la psiche umana si innescano a volte delle dinamiche inaspettate per cui ci troviamo a comportarci come mai avremmo immaginato. Tale ricchezza psicologica è ciò che caratterizza in letteratura i personaggi cosiddetti “tondi” gli individui complessi e dinamici che si contrappongono ai personaggi “piatti” cioè i tipi monolitici e statici. Pensando al Maestro della caratterizzazione psicologica, sempre lui, il grande William Shakespeare, la mente va ad uno dei suoi capolavori di indagine psicologica: Hamlet.

Amleto, l’uomo ingenuo e “troppo buono”, che venendo a conoscenza in sogno dal fantasma del padre defunto che questi è rimasto vittima di un omicidio compiuto dal suo stesso fratello, entra in crisi, tanto da chiedersi “essere o non essere?”, ovvero: è meglio vivere subendo tutte le avversità e le frustate della nostra miseria umana, o morire, andando però incontro all’ignoto che ci spaventa al punto tale da renderci vigliacchi e destarci dal suicidio? In questo ormai famosissimo interrogativo si nasconde tutto il travaglio psicologico di un uomo che da “buono” diventa spietato e cerca disperatamente vendetta; un uomo che improvvisamente viene scaraventato contro le insidie della cattiveria umana, dell’ambizione, della sete del potere, del tradimento degli affetti umani più profondi, incarnati dallo zio Claudio che uccide il fratello per sposarne la moglie e diventare re. Leggendo la tragedia shakespeariana si gusta tutta l’evoluzione psicologica del personaggio che si afferma infatti in modo del tutto anacronistico nella scena rinascimentale inglese proprio per la sua grandiosa “modernità”. Ancora un esempio della precarietà della psiche umana lo ritroviamo nel “Frankenstein” di Mary Shelley, dove il “mostro” tanto orrendo e rifiutato dalla società umana non merita neanche la dignità di avere un nome. La creatura creata dallo scienziato è alla ricerca solo di un poco d’amore ma venendo rifiutato da tutti a causa del pregiudizio sociale e umano per cui “brutto” si identifica con “cattivo”, esasperato e disperato si trasforma in un essere omicida e vendicativo.  Ma potremmo citare anche i personaggi di Elizabeth Gaskell, scrittrice vittoriana che affronta la metamorfosi della classe operaia, uomini che alienati dalle condizioni brutali di sfruttamento nelle fabbriche si trasformano in dei “mostri”, ovvero macchine da lavoro, prive di sentimenti, speranze e umanità. Insomma tutto ciò ci porta a dedurre che dietro tutto c’è sempre una spiegazione, che non sempre è una giustificazione ma sicuramente ci mette davanti al grande mistero della mente umana!

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