La sera è gradevole in città nonostante l’estate sia al suo culmine, il tramonto ha poggiato un’ombra fresca lungo il cortile del palazzo storico che tra poco si trasformerà in teatro. Saluto una persona che conosco e prendo posto insieme alla mia amica. C’è un clima rilassato, allegro, ventagli che fendono l’aria, stasera più per vezzo che per necessità, e intanto le luci del palco accendono la notte. Luigi Pirandello e il suo “Uno, nessuno e centomila” attendono di andare in scena. Sotto il palcoscenico si è formato un capannello, al centro un uomo dalla chioma grigia in camicia bianca sorride, chiacchiera e stringe mani, è l’attore protagonista che si intrattiene con noi come un vecchio amico. Buio in sala, l’attore si scusa e scappa via, si va in scena. L’uomo che prima conversava con il pubblico tra poco sarà lì, sotto i riflettori, perfettamente calato nei panni di Vitangelo Moscarda o forse no, perché forse lui è “anche” Vitangelo Moscarda. Sorrido pensando a questo e a quanto ognuno di noi sia un “anche” qualcun altro.

“Quante maschere qui stasera vero?” mi sussurra il signore accanto a me facendo scorrere lo sguardo tra i volti in sala, poi quasi leggendomi nel pensiero “Non ve ne crucciate, nemmeno lo specchio vi restituirà ogni volta l’identica immagine, come potreste farlo voi stessa con gli altri? Siamo ingannevoli è vero, ma solo bonariamente” ha ragione, siamo un’eterna bugia bianca, detta per piacere e compiacere, per non far male o per ferire appena un po’, siamo genitori e figli, amici e amanti, padroni e servi, assennati e folli. Siamo tutto e niente. “Avete ragione, siamo proprio uno, nessuno e centomila” mi sorprendo a dire a voce appena sopra un sussurro “cosa?” mi chiede la mia amica “no, parlavo con il signore e…”, “quale signore?” risponde lei. Mi giro verso quello che doveva essere il mio vicino ma la sedia è occupata da una donna abbronzatissima, con un profumo troppo forte e l’aria di chi stasera avrebbe preferito essere altrove. Alzo lo sguardo in direzione del portico che corre intorno al cortile e lo vedo, il signore elegante con la sua barba bianca curatissima e lo sguardo di chi ha visto tanto, è lì e mi sorride, accenna un saluto sfiorando il cappello e sparisce avvolto in questa notte fresca che fa capolino tra le colonne di pietra. Quel volto ora mi guarda dall’immagine della brochure dello spettacolo, una fotografia nota dell’autore. Gli applausi mi riportano alla realtà, che lo spettacolo abbia inizio a teatro come nella vita.

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