È ottobre, la pioggia ha lucidato la bianca piazza del Duomo, a vederla così sembra di ghiaccio. La pietra bianca, la forza di Ortigia, la fa risplendere sotto il sole in estate e le risparmia il grigiore dell’inverno. Il mare da questo punto della città non si vede, è nascosto dai palazzi e dal dedalo di vie che si rincorrono lungo l’antica giudecca di Siracusa, costeggiando le case addossate le une alle altre, fermandosi all’improvviso dentro un cortile, biforcandosi una a destra e una a sinistra per poi proseguire facendosi ora più larghe, ora più strette, a tratti buie e poi di nuovo luminose, in un duello di luci e ombre violento, vitale, potente, fino al lungomare, dove la corsa si ferma e lo sguardo si getta in acqua tra gli scogli, libero e sazio di luce. È sera e la giornata grigia regala un anticipo di tenebra. Le luci della piazza si accendono e cominciano a tingere di giallo le vie circostanti.

Lì davanti, la chiesa barocca di Santa Lucia alla Badia, la cui facciata piccola e ricca chiude degnamente la prospettiva creata dalle mura del palazzo arcivescovile e diventa degno scrigno per un tesoro del Seicento, un quadro dedicato alla Patrona della città, Santa Lucia, realizzato come solo il genio sanguigno e ribelle del mio “grande amore” avrebbe potuto fare, sì perché di amore trattasi! Michelangelo Merisi detto il Caravaggio io l’ho amato dal momento in cui gli occhi si sono posati sulle immagini nei libri di Storia dell’Arte prima, e sulle opere vere e proprie poi. Caravaggio, che proprio in un giorno di ottobre del 1608 arrivò in Sicilia. La sua Lucia non è una Santa come vorrebbe la tradizione, la sua Lucia ha la gola tagliata, gonfia e grigia di morte, la pelle non è di certo il roseo incarnato di un’eterea giovinetta in odore di santità. La veste riflette il rosso del manto dell’uomo in piedi accanto a lei, la cui stoffa ricorda un rivolo di sangue. La Lucia di Caravaggio è esattamente come la sua Madonna in “Morte della vergine”: è una donna, ed è morta. Niente orpelli, nessuna mediazione. “La morte non ha mediatori” sussurra un uomo, lo guardo, non è bello ma ha il fuoco negli occhi e l’aspetto di chi ne ha viste tante e non ha intenzione di fermarsi. Ha una testa i cui capelli riflettono esattamente lo spirito. È il genere di persona dalla quale sarebbe preferibile guardarsi, salutare educatamente e cambiare strada, in fretta. Eppure continuo a restare immobile, la luce non rende giustizia al quadro e lui sembra leggere nei miei pensieri. “Vedete? Non è luce questa! Non fa parlare i miei colori, non lascia spazio!” Ruggisce quasi! Però ha ragione, devo ammetterlo. Mi giro per rispondere e accanto a me c’è solo il sagrestano “Cercava qualcuno?” Mi chiede “Sì – rispondo –  l’ho trovato”. Lascio la chiesa sorridendo come una fan che appena ha ottenuto l’autografo dalla sua rock star preferita. Ortigia ha compiuto la magia.