C’è frenesia in città di sabato pomeriggio, in realtà c’è sempre frenesia il sabato in centro, eppure oggi qualcosa è diverso. Sono soltanto le cinque ed è già buio, si sono accese le luci e le vetrine scintillano di oro e rosso. Ogni commerciante ha fatto del suo meglio per regalare un po’ di magia al suo negozio. La voce dell’immancabile Bublè, rispolverato per l’occasione, riempie di note la via dove è stato allestito un mercatino pieno di lampadine colorate e ci ricorda che anche quest’anno è arrivato Natale. Mi aggiusto la sciarpa, un venticello freddo fa ondeggiare le lampadine e le ghirlande sopra la mia testa mentre un brivido parte veloce dalla nuca fino ai piedi e sono altrove. Quanto tempo è passato? Più di quarant’anni. L’albero di Natale quest’anno è grande, lo decoriamo sempre il giorno del mio compleanno, sì è quasi a ridosso della vigilia, ma l’albero è vero, ricoperto di palline e decorazioni soffrirebbe come una bella donna costretta per due settimane in abito da sera e tacco dodici e allora, in famiglia, risparmiamo all’abete un supplizio prolungato. Un compagno di scuola ha provato a svelare il mistero di Babbo Natale, ma prontamente arginato ha fallito nell’intento e anche la magia di questo Natale è salva. Quelle palline di vetro sono bellissime, ma delicate, ogni anno se ne rompe una, a volte è stato il gatto ma più spesso i litigi tra me e mio fratello per la detenzione del potere di mettere la punta di vetro all’abete. La sera della vigilia bisogna restare lontani dal salotto e l’albero deve rimanere acceso perché così Babbo Natale da fuori lo vede e si ferma, ma se si accorge che ci sono bambini nei paraggi gira la slitta e “ciao ciao regali!”, spiegazione convincente, meglio farsela alla larga, però si può sempre sbirciare da dietro i vetri opachi; vedo solo ombre che si muovono intorno all’albero, provo ad appiccicare il naso in un punto dove il vetro è trasparente per vedere meglio ma mia madre mi allontana dolcemente “attenta! se Babbo Natale se ne accorge se ne va!”. Adesso ci siamo tutti, anche papà e il nonno, chissà dove erano andati prima? Ceniamo, ma con un pensiero fisso. Finalmente è arrivato il momento, possiamo entrate in salotto, apriamo la porta e la base dell’albero è piena di pacchetti grandi, piccoli, lucidi, opachi, con fiocchi dorati grandi come le mie mani di bambina, seguendo il consueto rituale, ognuno di noi, a turno, apre un pacchetto, mio fratello ed io scalpitiamo attendendo il nostro momento mentre il gatto distrugge, nella frenesia, l’ennesima pallina. Il rumore del vetro rotto mi scuote, il cameriere del bar ha fatto cadere un bicchiere tra i tavolini in strada riportandomi di nuovo qui, oltre quarant’anni dopo, lo aiuto, mi sorride “buon Natale signora”, ricambio auguri e sorriso, lui non lo sa che fino ad un attimo prima quella signora aveva otto anni e sorrideva alla magia del Natale. Auguri!