La donna “sesso debole”? Beh…forse è solo un luogo comune con il quale si tende a negare la forza speciale delle donne: mi riferisco per esempio alla loro capacità di guardare in faccia le difficoltà e di affrontarle, il coraggio e la responsabilità delle proprie scelte ed azioni … forse questo l’uomo lo ha sempre saputo dentro di sé e, forse per questo, la storia ci racconta un faticoso cammino della donna per conquistare la sua uguaglianza ( di diritti e non di caratteristiche fisiche o comportamentali), nei riguardi di un uomo che ha sempre cercato di “tenerla a bada”, facendola spesso sentire inadeguata, sopprimendone le potenzialità o non riconoscendone il valore. La scorsa giornata del 25 novembre che celebra il no al femminicidio, del resto, ci ha indotto a simili considerazioni, clonando motti del tipo “la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci”. Tutto ciò mi ispira a parlare del ruolo che la donna ha avuto nella storia e nella società britannica e come questo si sia riflesso nel mondo della letteratura inglese. Chi ha detto allora che “antico” è uguale a “involuto”? Il ricordo vola lontano ai primi abitanti riconosciuti delle isole britanniche, i Celti: parliamo del 700 a.C. e parliamo di una popolazione che disponeva di donne guerriere e quindi di una società in cui le donne dovevano avere una certa considerazione. Ma ben presto la situazione cambia, poiché con l’invasione degli Anglo-Sassoni si impone una società fortemente gerarchica e maschilista, all’interno della quale la donna era considerata davvero nulla; e ce lo dice proprio la letteratura, pensate che l’unico riferimento ad una donna che troviamo negli estratti letterari del tempo, è la regina, ritratta mentre sta versando da bere al marito, ed era la regina! La situazione di subalternità della donna purtroppo continuerà ad essere perpetuata per molti secoli, poiché durante il Medioevo e il Rinascimento raramente si parla delle donne e ancor meno si registra la figura di scrittori donne, nonostante i canoni letterari della poesia d’amore cortese della “donna angelo”, simbolo di perfezione fisica e morale. Dobbiamo arrivare al Settecento con lo sviluppo della classe borghese e la nascita del romanzo inglese (che della borghesia esprime e celebra i valori, lo stile di vita e i modi di pensare), perché la lettura e l’istruzione in generale si diffondano anche tra le donne; processo che porterà alla entrata in scena alla fine del secolo di grandi donne intellettuali come Mary Wollstonecraft, che darà poi alla luce la più conosciuta Mary Shelley, autrice del famoso “Frankenstein”. L’Ottocento vede quindi le prime grandi scrittrici inglesi, alle quali però non viene riconosciuta la stessa dignità letteraria degli autori uomini, prova ne è Mary Anne Evans che dovette usare lo pseudonimo maschile di George Eliot, affinché i suoi romanzi fossero presi in considerazione e pubblicati. Nonostante la presenza delle prime scrittrici, il ruolo della donna stenta a cambiare nella società inglese ed è proprio una donna che ce lo racconta nei suoi romanzi, cioè la brillante Jane Austen. Con arguta ironia la scrittrice ritrae la triste condizione della donna, che non potendo ereditare le proprietà familiari, doveva elemosinare il matrimonio affinché le venisse riconosciuto un ruolo sociale; la triste alternativa a cui poteva andare incontro era quella di diventare una “fallen woman”( donna caduta moralmente) e quindi scacciata dalla società, quando sedotta da qualche libertino, cedeva ad una relazione sessuale prima o comunque al di fuori del matrimonio. “Pride and Prejudice” è l’esperimento meglio riuscito di descrivere questa triste realtà, divertendo il lettore. La letteratura del Settecento e dell’Ottocento è piena di esempi di “fallen woman”, a partire dai romanzi didattico moraleggianti di Richardson, per esempio “Clarissa”, per arrivare alla giovane Tess, protagonista dell’omonimo romanzo dell’autore tardo vittoriano Thomas Hardy. L’epoca vittoriana (1832-1901) vede infatti l’affermazione dell’angelo del focolare domestico, cioè, la donna aveva il compito di badare alla casa, ai bambini e al massimo si dedicava ad attività sociali di beneficienza, venendo scacciata dalla società puritana e perbenista dell’epoca, qualora non rispettasse tali convenzioni e cedesse ai suoi impulsi o fragilità umane.
La situazione cambia radicalmente con la prima guerra mondiale quando gli uomini sono tutti impegnati al fronte e le donne restano a casa a guidare il paese: finalmente le donne possono dimostrare quanto valgono, ma soprattutto ne prendono consapevolezza. Il processo di emancipazione femminile parte quindi inarrestabile e le Suffragette ne sono l’esempio più eclatante, lottando per diversi anni al fine di ottenere il diritto di voto (1928). Ancora una volta la letteratura riflette questo nuovo stato di cose, basti pensare alla Molly Bloom di “Ulysses” di James Joyce, donna dalla morale potenzialmente discutibile, ma che vuole affermare prepotentemente la sua autonomia di pensiero, i suoi desideri, le sue pulsioni: “Ulysses” è il primo romanzo inglese infatti, che si conclude con una voce al femminile, cioè con il lungo monologo di Molly.