Da tempo voglio scrivere su colui che ha fatto la storia della letteratura inglese, “The Bard” ovvero “Il Poeta”: cosi veniva infatti chiamato dai suoi contemporanei il grande William Shakespeare.  Non un semplice innovatore ma direi piuttosto un genio, si impose in modo vulcanico, svecchiando il teatro dell’epoca, lo “scuoti-scene, come lo definì sarcasticamente il rivale contemporaneo Robert Greene, alludendo a questo giovanotto che invadeva prepotentemente il palcoscenico, giocando con il cognome dello stesso ( shake > scuotere; speare > lancia). Non è un caso che per quanto apprezzato dai suoi contemporanei, la vera grandezza di Shakespeare fu totalmente compresa a partire dal secolo successivo alla sua morte; di fatto fu un artista anacronistico perché troppo avanti rispetto ai suoi contemporanei. Il primo grande elemento di genialità riguarda la costruzione dei personaggi: individui dotati di complessità psicologica, di una tale vasta gamma di sentimenti veri e di una evoluzione narrativa, che fortemente cozzavano con i personaggi piatti, statici, “tipo” delle opere dei suoi contemporanei. L’indagine psicologica dei personaggi rende le sue opere straordinarie e fuori dal suo tempo, condotta magistralmente tramite la tecnica drammaturgica del soliloquio (il personaggio parla con se stesso) di cui “To Be or not To Be” è l’esempio più famoso. A questo si accompagna la brillante vena poetica con la quale Shakespeare seppe dare voce ai sentimenti e alle emozioni dei suoi personaggi, tramite un linguaggio lirico, che sapeva toccare le corde giuste dell’anima e anch’esso innovativo. Shakespeare infatti inventò ben più di 2000 parole ed espressioni entrate poi correntemente nella lingua inglese, perché quando non trovava una parola o una espressione che esprimesse ciò che voleva, la inventava! L’altro aspetto della genialità shakespeariana infatti, riguarda proprio le straordinarie ed innate abilità formali: Shakespeare sapeva scrivere bene e lo seppe fare fin dalla nascita! Nella prima fase della sua produzione letteraria infatti, non si percepisce quel tono acerbo o grezzo che solitamente si avverte nelle opere giovanili della maggior parte degli autori, tant’è che già la sua prima tragedia scritta ancora all’inizio della sua carriera era già un capolavoro … e per intenderci sto parlando di “Romeo and Juliet”. A completare il successo delle sue opere, c’era infine la sua completezza teatrale (fu un attore, regista, socio del teatro) che gli permise di creare opere che sul palcoscenico funzionavano, conoscendo perfettamente le esigenze tecniche di un testo letterario che deve essere messo in scena. Shakespeare utilizzò le sue “atipiche” qualità oltre che nelle sue opere teatrali anche nei suoi incantevoli sonetti: le tematiche erano sempre quelle trattate dai poeti contemporanei, prevalentemente l’amore, ma il modo in cui fu capace di parlare dell’amore nei suoi versi li rende unici e senza pari! A questo punto mi chiedo l’uomo Shakespeare come deve aver  vissuto questo talento fuori dai canoni. Che ebbe tanti rivali è risaputo, come si sa anche che chi afferma il proprio essere e lo fa in modo originale e fuori dalle convenzioni, è spesso vittima di pregiudizi e alle volte preso pure per folle. Io credo che Shakespeare fu felice della sua “follia”, che come sosteneva egli stesso, è sempre indice di verità: il folle in quanto tale è libero di parlare, di dire ciò che pensa senza filtri, perché “tanto quello è pazzo!”.