Tra artisti e committenti si stipulavano spesso dei veri e propri accordi, verbali o scritti, dove si sancivano genere, numero di soggetti da rappresentare, tempi di consegna, importi dovuti ma anche quantità e qualità dei colori da utilizzare. Alcune terre colorate, come il blu oltremare, si ottenevano da pigmenti molto costosi per cui ci si accordava, magari, che alcune parti “blu” del quadro fossero fatte con blu oltremare, quindi ottenuto da pigmenti di lapislazzuli, ma altre con colori meno pregiati come l’azzurrite. Non di rado una clausola poteva prevedere che l’opera fosse eseguita dall’ artista di “sua mano” come garanzia di autenticità. Ma a questi patti squisitamente commerciali sono legati alcuni aneddoti interessanti. Bruegel, pittore olandese rinascimentale, dipinse un bel paesaggio con una chiesa ma non inserì nessuna figura umana. Quando gli fu chiesto come mai, il pittore rispose che erano tutti in chiesa. Il committente scontento replicò: allora ripasserò a ritirare il quadro quando la messa sarà finita e saranno tutti fuori!

Michelangelo ebbe spesso alterchi con il Papa Giulio II sin dalla prima commissione quando gli fu chiesto di realizzare un sepolcro in marmo. L’artista si recò personalmente a Carrara dove restò sei mesi a scegliere e comprare i blocchi migliori ma al suo ritorno il Papa sembrava demotivato e concentrato piuttosto sull’idea della fabbrica di San Pietro. La Delusione e l’indignazione per le mancate udienze spinsero Michelangelo a partire per Firenze dopo aver mandato una lettera irriverente al Papa nella quale gli intimava che, se lo avesse rivoluto, avrebbe dovuto mandare qualcuno a cercarlo. Il Papa sorprendentemente fece pressione direttamente sulla Signoria di Firenze affinché Michelangelo tornasse. Quando l’artista tornò a Roma, gli commissionò un’opera grandiosa: gli affreschi della volta della Cappella Sistina. Ci furono nuovi diverbi, perché Michelangelo era uno scultore e non un pittore, e fece di tutto per rifiutare l’incarico insistendo sul fatto che non era “il suo tipo di arte”. Più Michelangelo rifiutava, più il Papa insisteva ma alla fine cedette pentendosi poco dopo. Problemi con l’impalcatura, collaboratori che reputò come incompetenti e cacciò, lo portarono a quattro anni di lavoro solitario e durissimo, giorno e notte. Mal digeriva le incursioni del Papa tanto da chiudere a chiave la cappella provocando l’ira del pontefice. “Quanto tempo ancora?” chiese.  “Quando sono soddisfatto come artista” fu la risposta di Michelangelo. L’arrabbiato Giulio II replicò: “E vogliamo che tu ci soddisfi e finisca presto” e con il suo bastone lo colpì, scusandosi poco dopo. Ma quando finalmente l’impalcatura fu smontata e il Papa poté vedere le trecento figure dipinte dall’artista non ci furono più parole.

Gustav Klimt era noto per il suo perfezionismo. Lavorò per tre anni al ritratto di Elisabeth Bachofen-Echt, figlia di una sua importante mecenate. Ore ed ore in pose estenuanti, la scelta non condivisa di abiti e posizioni e la continua insoddisfazione del pittore portarono a scontri inevitabili. Dopo tre anni di pazienza Elisabeth prese il quadro dal cavalletto e lo espose nel suo salotto di casa. Il pittor vedendolo replicò: “Non le assomiglia per nulla.” La committente però non si fece scoraggiare da questa affermazione e commissionò a Klimt il ritratto della madre. Contraddizioni, scontri e confronti fanno di questi e molti altri artisti non solo dei geni, ma anche uomini fatti di istinti, paure e desideri a loro dire incompresi.

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