“Scriverò
Scriverò parole libere d’andare.
Scriverò pensieri che corrono nei labirinti della mente,
di nuovi mondi chiusi in un cassetto
di aurore e d’albe nate laggiù e poi sparite
di inizio, fine e di circoli infiniti
del nulla in un sorriso e dell’universo dentro ad un silenzio
di quell’abbraccio che sento a pelle nuda e di quello che mi ha gelato il sangue.
Scriverò perché non posso farne a meno
quasi che fossi matita in mano ad un poeta inesistente.”

Eppure… Eppure c’è qualcosa in me che tenta in tutti i modi di esplodere ed uscire allo scoperto. Avete mai provato questa sensazione? Sentire d’avere dentro qualcosa che ribolle come lava e non sapere cosa. Quella certezza di avere uno scopo in questa vita che non si esaurisce con le cose vissute fino a quel momento. La pressione dall’interno è tanta e sfocia, per quanto mi riguarda, ora in qualche frase scritta ora in un dipinto. Eppure sento che ancora c’è dell’altro. Per qualcuno può essere una vocazione, una chiamata o un’ossessione, per qualche altro il placido fluire della vita ma in entrambi i casi il moto dell’anima sarà volto ad estrinsecare questo quid.
Ne “Il codice dell’anima” James Hillman delinea assai bene tutto questo portando il lettore alla scoperta di ciò che chiama ghianda, quel certo non so che sopito in ognuno di noi e che grazie al daimon platonico trova la strada per realizzarsi concretamente.
Ognuno nasce con una vocazione: “Ogni bambino è un bambino dotato, traboccante di dati: di doti che sono tipiche sue e che si manifestano in modi tipici, sovente causa di disadattamento e di sofferenza.”
Può accadere sin dalla più tenera età come dopo una vita intera.

Foto di copertina di Valentina Giuffrida

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