La storia dell’arte è arricchita da colori vividi e vibranti che hanno caratterizzato capolavori senza tempo. Ma com’erano creati i colori nel passato? I segreti della creazione dei pigmenti artistici utilizzati dagli antichi pittori rivelano processi, ingredienti e tecniche che hanno dato vita a una gamma di tonalità affascinanti e qualche volta uniche.  I “coloristi” o “mestiere dei colori”, erano gli artigiani che avevano conoscenze approfondite dei pigmenti e dei processi necessari per creare i colori richiesti dagli artisti. I coloristi lavoravano all’interno di botteghe o laboratori dedicati alla produzione e alla vendita di pigmenti e il loro ruolo richiedeva una conoscenza dettagliata dei pigmenti naturali e delle loro proprietà, nonché delle tecniche di lavorazione necessarie per ottenere colori di alta qualità. Questi esperti conoscevano i diversi minerali, rocce, piante e altre sostanze che potevano essere utilizzati per estrarre pigmenti. I coloristi selezionavano le materie prime, macinavano con mortai e pestelli i pigmenti per ottenere della polvere finissima che mescolavano con leganti appropriati, l’uovo, l’olio o la gomma arabica, per ottenere una consistenza adatta alla pittura. Nel passato, i pigmenti erano estratti da una varietà di fonti naturali. Ad esempio, il blu intenso dell’azzurrite e il blu brillante del lapislazzuli erano ottenuti da minerali preziosi. Il giallo ocra derivava da argille di diversi colori, mentre il rosso veniva estratto da sostanze come il cinabro o l’ematite. La terra verde era ottenuta da minerali verdi come il verde di Verona. Ci sono dei colori che gli artisti hanno prediletto per l’intensità e la resa cromatica nelle loro tele o negli affreschi. Il “blu di lapislazzuli” è un pigmento di colore blu intenso che si ottiene dalla macinazione della costosa pietra preziosa lapislazzuli. Una volta macinata e impastata con leganti, crea un azzurro intenso di ottima qualità, destinato a durare a lungo senza subire gli effetti del tempo che passa. A questo colore dobbiamo il blu sfavillante del Giudizio Universale della Cappella Sistina cui è legato un aneddoto. Sembra infatti che Michelangelo nel periodo in cui era intento a dipingere la volta, per comprare i colori dovesse mettere mano al portafogli sborsando tutte le volte cifre assai elevate, perché Papa Giulio II non anticipava niente. Dovendo comprare di tasca sua i colori e non potendo permettersi di dilapidare ricchezze per comprare il lapislazzuli utilizzò lo smaltino, un pigmento a base di polvere di vetro blu con una resa cromatica decisamente meno intensa. Per il Giudizio Universale, invece, sotto il papato di Paolo III Farnese, era direttamente il pontefice a occuparsi di pagare i pigmenti “così mi lasciai prendere la mano un pochetto e usai il lapislazzuli a chili”. Il “rosso di cocco o rosso di cocciniglia” è un pigmento di colore rosso brillante ottenuto dagli insetti parassiti della famiglia dei Coccoidea, in particolare dal genere Dactylopius coccus. Questi insetti si nutrono della linfa delle piante, in particolare del cactus del genere Opuntia, e il loro corpo produce un colorante rosso intenso chiamato acido carminico.

Per ottenere il rosso di cocco, gli insetti sono raccolti dalle piante ospiti e uccisi per estrarre il pigmento dai loro corpi. Questo è fatto solitamente attraverso metodi di macerazione o di bollitura degli insetti. Poi, il pigmento viene trattato e purificato per ottenere una polvere fine e altamente concentrata. Il rosso di cocco fu utilizzato come pigmento colorante fin dai tempi antichi. Gli antichi Maya e Aztechi erano noti per l’uso di questo pigmento nelle loro pitture murali e nelle decorazioni. In Europa, il rosso di cocco diventò particolarmente popolare durante il Rinascimento e l’epoca barocca, dove fu impiegato nella pittura ad olio e nell’arte tessile per creare tonalità rosse intense e durature. Bianco e nero, nel passato, venivano creati utilizzando materiali naturali e processi artigianali. Il nero d’inchiostro era ottenuto da sostanze come la fuliggine o l’inchiostro di seppia. Questi materiali erano bruciati o estratti e poi macinati per creare una polvere che veniva utilizzata come pigmento nero per la pittura. Il bianco era estratto dalla roccia di gesso, poi macinato in una polvere fine oppure era ottenuto tramite la corrosione del piombo metallico esposto all’aria e all’acido acetico. Il risultato era una polvere bianca molto fine e opaca, il bianco di Piombo, che veniva utilizzata per creare tonalità chiare e luminose nelle opere d’arte.

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