Angela Caputo ha pubblicato come giornalista pubblicista presso testate locali, si è occupata di editing e correzione di bozze. Ha svolto ricerche di storia locale e nazionale. Ha poi conseguito il Diploma di Specializzazione per l’insegnamento, e lavora nel ruolo di docente. Da sempre cultrice della Storia, in particolare della Seconda Guerra Mondiale e della Shoah. Ha pubblicato nel settembre 2023 il romanzo “Bianca vestita di nero”, Atile editore.

Può svelare ai lettori di Spazi Esclusi, almeno parzialmente, l’anima di questo libro? Il suo modo d’essere, le sue intenzioni, la sua specificità?

“Bianca vestita di nero” è l’omaggio a milioni di deportati morti e sopravvissuti nei campi di concentramento. Esattamente ottant’anni fa, a seguito dell’armistizio dell’8 settembre del 1943, avveniva la liberazione del primo campo della storia della Seconda Guerra mondiale: a Ferramonti di Tarsia in Calabria. Le testimonianze lo ricordano come luogo di salvezza. Questo romanzo però getta luci e ombre su Ferramonti, dando voce agli internati ma anche al popolo calabrese che ha svolto un’opera di volontariato nei riguardi dei prigionieri. All’interno di tale contesto nasce una storia d’amore proibita per l’epoca, quella tra Bianca, una giovane fascista appartenente alla Gioventù mussoliniana, e Goran, un medico tedesco ebreo internato a Ferramonti.

Genesi dei personaggi: può raccontare le circostanze di nascita, nella sua immaginazione, dei protagonisti del suo lavoro?

Bianca, la protagonista, inizialmente avrebbe dovuto essere la figura di mia nonna che ha vissuto la guerra, poi il personaggio ha subito un’evoluzione ed è diventata la ragazza della Gioventù mussoliniana che vive il suo ruolo con incertezza e facendosi qualche domanda. Rappresenta un po’ tutte le donne vittime del patriarcato e del maschilismo, soprattutto è simbolo del riscatto da certi sistemi mentali duri a sparire.

Goran, il protagonista maschile, è un uomo che ha vissuto repressione e deportazione, perdendo la sua famiglia ad Auschwitz. Giunto al campo in Calabria, cerca di ritrovare una sua identità e si imbatte in un sentimento d’amore che supera le differenze razziali. Proprio per difendere il suo amore sarà costretto a scendere compromessi e a compiere azioni poco pulite.

Quali pensa, in base alla sua esperienza, siano le qualità indispensabili per essere scrittori oggi?

A mio parere, per come vivo la scrittura e di conseguenza la lettura, l’incontro con il libro è un modo per leggere sé stessi. Come disse Proust, il grande maestro della Madeleine, la scrittura deve essere evocativa. Da lui ho appreso questo grande dono: quando si legge una storia, non occorrono solo gli occhi ma anche tutti gli altri sensi. Quando un autore prende a livello sensoriale con la descrizione di un dolce o di un profumo o di una essenza o anche una scena d’amore o di sesso descritta in modo realistico, si ha davvero l’impressione di gustare quel dolce, indossare quel profumo o vivere quell’incontro d’amore. Ecco, per me, se riesco a leggere un libro vivendo tali esperienze sensoriali, allora posso dire che ho dialogato con l’autore che ha forgiato in me qualcosa di indimenticabile. Queste sono le caratteristiche ideali dello scrittore: colpire il lettore sotto tutti i sensi.

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