Scorre lento il tormento

Veloce la gioia

Istanti d’infinito indugiano

In bilico fra oblio e ricordo

Scandiscono vite sospese

Marina Malgioglio

Sospensione. Forse miglior parola non c’è per descrivere la sensazione che accomuna il mondo intero in questi giorni: d’improvviso ciò che era scontato diviene agognato e ciò che era un desiderio è a nostra disposizione e quasi lo disdegniamo.

Manca il fiato dinanzi alla conoscenza brutale di una mancanza palpabile che ci è entrata nelle viscere. Un gesto normale come una stretta di mano o un abbraccio adesso è un miraggio lontano. Mi domando se davvero siamo così primitivi da aver bisogno del tatto per percepire la presenza altrui. La mancanza di qualcosa o di qualcuno è una condizione d’animo, è quell’appuntamento interrotto di una intima necessità.

E di questo stato interiore in tanti hanno parlato e cantato. Penso a quanti celebri epistolari hanno rappresentato al meglio la distanza fra gli amanti: se non avete mai letto ciò che si scrissero Elisabeth Barrett e Robert Browning forse è arrivato il momento.

O ancora una immensa Virginia Woolf diceva

«Che cosa conta l’assenza? La distanza? Spesso avrebbe voluto scrivergli, ma poi aveva stracciato tutto; ma, malgrado ciò, sentiva che lui capiva, perché ci si capisce anche senza parlare».

(“La signora Dalloway”).

Penso alle canzoni di inizio secolo scorso, canti dolenti dei nostri migranti lontani dalla terra natia.

La mente e il cuore si scalderanno carezzando il ricordo. Ed è così che un viso, una voce o un luogo diventano nel tempo via via più fiochi e ciò che ci resta dentro sono le sensazioni nate con loro. A volte le esalteremo a volte il contrario nel tentativo di soffrire meno della loro assenza.

Ma in giorni come questi, dove l’assurdo sembra aver preso il sopravvento emerge dal mio intimo una pulsione alla leggerezza. Ogni circostanza per quanto funesta può essere affrontata con un po’ di distacco perché, ricordiamoci, tutto passa, tutto si trasforma e anche i momenti più bui lasceranno il posto a nuove albe.

Così mi sono trovata a ridere di cuore ascoltando Checco Zalone cantare “La quarantena, sai, è come il Veneto

spegne i focolai piccoli ma può accenderne di grandi

come quello che arde nel mio cuore

lui non resta a casa, il mio cuore va per le strade

scavalca muri, varca portoni

perché anche un cuore si sa rompe i co…”

Ecco allora che sdrammatizzare e alleggerire diventano gli unici verbi da coniugare in questi giorni dissociati.

Ed il pensiero di tornare a colloquiare con chi picchietterà col dito sul nostro braccio o peggio ci vaporizzerà in faccia i suoi patemi beh mi fa apparire questo isolamento un paradiso!