Irrequieto, violento, geniale. Benvenuto Cellini, orafo, scultore e scrittore fiorentino del cinquecento, conduce sicuramente una vita sopra le righe. Temperamento impavido e talento artistico, ora favorito, ora detestato da Papi e Re, fu spesso protagonista di rocamboleschi diverbi e duelli. Già a sedici anni, in seguito ad una rissa dove uccise un uomo, fu esiliato a Siena, dove iniziò a studiare oreficeria con promettenti risultati. Creò, per uomini ricchi e potenti, gioielli meravigliosi e molti aneddoti sono raccontati nella celebre autobiografia “La vita”. Egli si descriveva: “animoso come un granatiere francese, vendicativo come una vipera, superstizioso in sommo grado e pieno di bizzarria e di capricci; galante in un crocchio d’amici, ma poco suscettibile di tenera amicizia; lascivo anzi che casto; un poco traditore, senza credersi tale; un poco invidioso e maligno; millantatore e vano, senza sospettarsi tale; senza cerimonie e senza affettazione; con una dose di matto non mediocre, accompagnata da ferma fiducia d’essere molto savio, circospetto e prudente.” La sua fu una vita in fuga. A Firenze le sue opere, molto ricercate dai committenti, destarono l’invidia di due orafi che possedevano tre botteghe e dopo minacce e tafferugli, Cellini fu denunciato e condannato ma riuscì a fuggire travestito da prete. A Roma, lavorando come orafo per il Papa, prese parte alla difesa dell’assedio della città da parte dei Lanzichenecchi di cui si vantò di aver ucciso il comandante Carlo III di Borbone-Montpensier, e ferito il suo successore principe d’Orange. La sua indole scontrosa e violenta portò nuovi guai. Un giorno colpì un altro orefice del Papa lasciandolo a terra sanguinante, fuggì ma a causa di una spiata fu costretto a tornare. Scoprì che la malalingua era di un tal Pompeo e così “decisi di andare da lui e gli sferzai due colpi e al secondo cadde morto”.  Prelevato dalle guardie però rimase sorpreso nell’apprendere che il Cardinal Cornaro, grato di aver tolto di mezzo quella mela marcia, gli offrì ospitalità e protezione. Mentre conia le monete per il nuovo Papa Alessandro Farnese, si ammala di una strana febbre. “Mi addormentai come morto e dopo essermi stati vicini per qualche ora poiché gli era sembrato che mi stessi freddando mi dichiararono morto”. Mentre lo stavano preparando al funerale Cellini si ridestò pieno di vita. Che vita scellerata era la sua, fatta di violenza e guai di ogni tipo. Arrestato con l’accusa di aver rubato alcuni beni al Papa fu rinchiuso a Castel Sant’Angelo. Tra queste mura ebbe una crisi mistica tanto da dare l’impressione di essere diventato pazzo ma lucidamente decise di fuggire calandosi lungo il fianco del castello rompendosi una gamba. Questa “bravata” fu perdonata dal Papa Paolo III che in qualche modo ringraziò Cellini per aver difeso proprio questo luogo dal nemico. Un altro omicidio, un processo per sodomia, la sua autobiografia durante gli anni di reclusione e la sfida per la realizzazione del suo Perseo (1554) furono nuovi capitoli della sua vita avventurosa. La grande statua di bronzo fu ardua da realizzare. Cataste di legna date alle fiamme, il metallo che ribolliva mal fuso, lo scoppio della caldaia e i 200 piatti di stagno usati per rendere la colata più fluida, facevano di lui un artista-stregone che in una notte, divorato dalla febbre, dopo la disperazione, creò un capolavoro d’impareggiabile bellezza.

Benvenuto Cellini, Perseo con la testa di Medusa, 1545
Benvenuto Cellini, Saliera
di Francesco I, 1543
Medaglia in argento a nome di Clemente VII Medici con il busto del papa e l’allegoria della Pace e del Furore placato

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