“Breaking the chains around you, nobody else can bind you, take a good look around you, now you’re breaking the chains” (Spezzando le catene intorno a te nessun altro può più tenerti legato, guardati intorno, adesso stai spezzando le catene), così cantavano i Dokken, band statunitense nei primi anni 80, inneggiando alla forza dell’individuo di liberarsi dalle proprie catene. La libertà scaturisce infatti da un processo interiore che si tramuta poi in scelte concrete; ma se dentro di noi siamo intrappolati in schemi mentali, culturali, emotivi sarà davvero difficile esprimere la nostra essenza nella piena libertà del nostro essere. Il mondo letterario ancora una volta riflette le vicende esistenziali dell’uomo e ci rimanda al grande James Joyce, autore nato a Dublino che ben presto rinunciò alla sua cittadinanza irlandese per diventare “cittadino del mondo”. Lo scrittore aveva sviluppato infatti una sorta di intolleranza per la mentalità irlandese, intrappolata dalla religione, dai legami familiari, dal provincialismo e dalle tradizioni che, per quanto originariamente possano essere dei valori positivi, smettono di esserlo nel momento in cui limitano, ostacolano o impediscono la crescita personale, professionale e culturale dell’uomo. La sua formazione gesuita, contribuì non poco a sviluppare un rifiuto per quelle forme di religiosità e ritualità bigotte ed ipocrite e ben presto capì che tutto l’ambiente irlandese avrebbe castrato le sue potenzialità e la sua realizzazione umana e professionale. Scelse così la via dell’“esilio volontario”, lasciando per sempre l’Irlanda per aprirsi al mondo esterno. La sua produzione letteraria denuncia chiaramente la situazione stagnante degli Irlandesi, soprattutto nel famoso “Dubliners” (Gente di Dublino), dove fornisce un ritratto realistico e non patriottico o idealizzato della sua gente. L’opera fu considerata offensiva per gli Irlandesi e a tratti oscena, al punto che passarono nove anni prima di vederla pubblicata, dopo essere stata rifiutata per ben 18 volte da 15 case editrici diverse. L’opera è una raccolta di 15 racconti che narra con dettagliato realismo la vita quotidiana di gente ordinaria che vive a Dublino. Tutti i racconti sono attraversati dal tema della epifania, ovvero una rivelazione improvvisa dei protagonisti sulla loro vita, alla quale dovrebbe seguire un cambiamento di rotta che invece fallisce sempre a causa della paralisi da cui sono colti tutti gli irlandesi. La paralisi è proprio uno stato di immobilità fisica, di incapacità di muoversi, che diventa metafora dell’incapacità di reagire degli irlandesi che preferiscono condurre una vita monotona, frustrante e infelice piuttosto che aprirsi a nuovi orizzonti. La paralisi fisica, che si traduce nell’incapacità di lasciare la propria terra e le proprie sicurezze e che oggi si potrebbero identificare con ciò che chiamiamo la nostra “comfort zone”, è però sempre il risultato di una paralisi psicologica, poiché la mente di questa gente è legata a delle catene, che Joyce appunto individua nella religione, nelle tradizioni, nella famiglia. La prigionia irlandese trova espressione anche nel romanzo parzialmente autobiografico “A Portrait of the Artist as a Young Man” (Ritratto dell’ artista da giovane) dove il protagonista Stephen Dedalus, intellettuale incompreso, reagisce contro la cultura del suo paese, e alla fine progetta di fuggire dall’Irlanda. Il nome del protagonista è fortemente simbolico, essendo l’uomo accostato al martire cristiano santo Stefano che aveva denunciato la sua stessa comunità e al personaggio mitologico Dedalo che aveva costruito un paio di ali per fuggire dal suo stesso labirinto che lo teneva prigioniero.

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