Artemisia Gentileschi fu una pittrice del Seicento e nascere con certe doti fu già una sfida in un mondo fatto solo da pittori. Donna talentuosa, spregiudicata, testarda fu molto determinata a difendersi dalle accuse umilianti del maschilismo imperante. Dipinge spesso le eroine bibliche ma tra le sue opere più famose c’è la sua “Giuditta che decapita Oloferne” del 1620 che descrive chiaramente lo stato d’animo vissuto dall’artista in quel periodo. Giuditta ha le fattezze di Artemisia e con efferatezza decapita senza tentennamenti Oloferne, tenendolo per i capelli, con un grosso fendente. La donna è monumentale, l’uomo non può sfuggirle. Nei suoi dipinti le donne sono forti e potenti, capaci di difendersi dall’aggressione maschile. Una metafora necessaria a raccontare una storia che parla di un tribunale e un processo lungo e travagliato. Protagonisti sono due artisti, uno è Agostino Tassi e l’altra una giovane Artemisia. Agostino frequentava la casa della giovane, perché amico del padre, ma un giorno un pensiero diventa ossessione e poi violenza. Arrivati alla porta, la serrò a chiave e spinse Artemisia sul letto e la violentò. Lei lo graffia e lo ferisce con un coltello, ma lui le promette un matrimonio e seguono altri momenti d’intimità fino al giorno in cui Artemisia scopre che lui é già sposato. La sua reputazione cade in frantumi, le colpe di essere una donna promiscua e di malaffare si diffondono e l’unico modo per riabilitarsi agli occhi della gente ed evitare l’esilio è affrontare pubblicamente la questione in un tribunale fatto da uomini. Fu inizialmente umiliata, ispezionata da due levatrici e torturata con le “sibille” per estorcerle confessioni compromettenti ma lei sarà più forte. Agostino negherà ogni violenza e l’accuserà di essere una donna notoriamente lasciva e insaziabile, indicando i suoi presunti amanti fra le persone che lo accusavano. Tassi dichiarò che il padre di Artemisia stesso gli aveva raccontato di avere tentato redimere la figlia, “sfrenata”, che conduceva una “cattiva vita, che perciò lui era disperatissimo”. Egli affermò di aver sorpreso una volta Artemisia con un “giovane alto vestito di longo” e che poi lei lo aveva pregato di non farne parola con suo padre. Ma negava più di tutto di essere rimasto solo in casa con Artemisia nella sua camera da letto.

Determinante fu la deposizione di Tuzia, che spesso si accompagnava alla ragazza, che dichiarò che il Tassi frequentava spesso la casa e di aver visto Artemisia nuda nel letto in sua compagnia. Aggiunse di aver manifestato la sua disapprovazione ad Artemisia, che però le aveva risposto “che ciò faceva perché gli aveva promesso di pigliarla per moglie”. Il processo fu un susseguirsi di accuse reciproche ma Agostino non aveva di suo una buona reputazione. Era un violentatore recidivo coinvolto in numerosi scandali relativi all’omicidio della moglie e un processo per l’incesto con la cognata Costanza, da cui aveva avuto dei figli. Il 27 novembre 1612 Agostino Tassi fu condannato per la deflorazione di Artemisia Gentileschi, per la corruzione dei testimoni e la diffamazione di Orazio Gentileschi. Il giudice Gerolamo Felice gli impose di scegliere tra cinque anni di lavori forzati e l’esilio da Roma. Il giorno seguente Tassi scelse l’esilio.

Una storia “a lieto fine” che vede una donna vincere per riabilitare la propria dignità in un tempo mai troppo lontano.

Artemisia Gentileschi, Autoritratto come suonatrice di liuto, 1615-’17
Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne, 1617

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