Da sempre il mondo dell’arte è stato costellato da controversie che riguardano il valore delle opere d’arte e oggi, più che mai, c’è bisogno di riflettere su come investiamo, cosa sosteniamo e soprattutto cosa desideriamo. Ha fatto discutere, ha indignato e anche fatto sorridere l’opera dell’artista sardo Salvatore Garau, venduta la scorsa settimana per 15.000 euro che è diventata, nel giro di poche ore, un caso mediatico e culturale. Perché? L’opera si intitola Io sono, ma di fatto non si vede: è aria, è un vuoto pensato e certificato. È “invisibile” e all’acquirente non resta che un certificato di autenticità e un foglio di istruzioni, che prescrive di collocare il “non-oggetto” in un ambiente sgombro di circa 1,5 x 1,5 metri. “Le mie opere sono contenuto di pensiero, poesia pura”, ha spiegato l’artista. Per alcuni è l’ennesima provocazione del mercato dell’arte ma per altri una raffinata operazione concettuale. Garau si muove su un confine sottile: tra presenza e assenza, materiale e immateriale, tra idea e oggetto. A tal proposito aveva già lavorato ad un’altra opera, una performance dal titolo Afrodite piange, realizzata davanti alla Borsa di New York in cui un semplice cerchio tracciato con del nastro bianco segna lo spazio dell’opera, che non si vede eppure c’è o almeno, è pensata per esserci. Ciò che turba (e disturba) è che l’opera non “vale” per ciò che è, ma per ciò che evoca. Non c’è materia, ma c’è pensiero. Non c’è immagine ma c’è intenzione e così l’oggetto perde centralità e il suo valore si sposta sul processo, sull’idea e sul contesto. È il pubblico, con la sua reazione (scandalo, sarcasmo, curiosità), a completare l’opera. L’invisibile così diventa visibilissimo nel dibattito che genera. Ma al di là delle polemiche, questa vendita (avvenuta tramite la casa d’aste milanese Art-Rite) solleva domande più profonde, che riguardano il valore dell’arte oggi: cosa compriamo quando acquistiamo un’opera? E, soprattutto, cosa consideriamo “arte”? Comprare un’opera di questo tipo è un gesto sì economico ma anche culturale e la cifra pagata per il vuoto di Garau può far sorridere, ma ci obbliga a chiederci che valore si può dare ad un’idea. Ma siamo disposti ad accettare che il valore dell’arte non sia (più) solo estetico o materiale, ma concettuale, emotivo, relazionale? C’è chi ha voluto scegliere il valore, prima del prezzo perché esistono dei valori che non si comprano, e che l’arte, se vera, ha il compito di custodire.

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