Cosa intendiamo dire esattamente quando parliamo di Felicità? Già Aristotele, nell’Etica Nicomachea, avvia un indagine per arginare ogni ambivalenza del termine. Secondo l’etimo i greci la intendevano come “la compagnia di un demone buono”, suggerendo in tale stato d’animo una via verso la trascendenza, il superamento della condizione umana. Innegabilmente la felicità è l’eterna chimera, l’utopia più ambìta, non esiste essere umano, dall’uomo greco degli albori a quello contemporaneo, nessuno escluso, che non la desideri con tutto se stesso. Ma cosa poi realmente vogliamo, quando affermiamo di voler essere felici? Una bella casa, tanti amici, un buon lavoro, l’amore? Cosa corrisponde nel nostro pensiero archetipico, nella odierna società, e nel nostro cuore a una vita felice? Per i neuroscienziati dell’Università Wisconsin-Madison, secondo un’innovativa ricerca condotta nel 2004, lo stato di felicità sarebbe descritto da un bombardamento di onde cerebrali gamma, inaspettatamente registrato monitorando l’attività mentale di Matthieu Ricard, monaco tibetano che presentava una rilevante, anomala, attività della corteccia prefrontale sinistra, associata alla gestione delle emozioni.  Frutto di anni di meditazione, distillato “doloroso” dell’esperienza di vita, divenuta saggezza,  o forse qualità innata del corredo genetico di alcuni fortunati individui? Ribattezzato dai media “l’uomo più felice del mondo”, Ricard sembra però rifiutare l’etichetta, e darsi una spiegazione diversa, collegando i suoi straordinari stati mentali registrati dalle sofisticate apparecchiature scientifiche, alla sua quotidiana propensione alla compassione, allo sforzo di superare i limiti dell’Ego e al suo costante impegno nella pratica spirituale. E se la felicità, viene da chiedersi, fosse davvero la capacità di creare ponti, come il nostro continua a fare, in particolare tra Oriente e Occidente? Se fosse l’antitesi della guerra, della divisione in visioni contrapposte della realtà e nient’altro, poi, in concreto, che lo sforzo orientato alla progettualità sociale, come in una sorta di contrappeso  a quella forza di gravità materiale, anche simbolicamente intesa, che ci spinge tutti verso il basso? Comprenderemmo allora le parole del poeta Eugenio Montale “Felicità raggiunta, si cammina per te sul fil di lama”.

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